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Filo Diretto con la Scuola

Il contesto scolastico ed educativo contemporaneo dell’Arci Grighine.

analisi e proposte Comments Off

Nelle fiabe c’è sempre un bosco e …
ci sono sempre dei bambini
che si perdono nel bosco.
Ci sono pericoli da affrontare
e papà e mamme in pensiero.
Nelle fiabe …

Da genitori a Villaurbana, presso le tante agenzie educative della nostra comunità, in molte occasioni, nelle quali crescono e si muovono i nostri figli, abbiamo costatato difficoltà diverse.
Le problematiche hanno riguardato: le iniziative, la natura organizzativa, la gestione dei tempi, gli spazi utilizzati, la stabilità stessa dei servizi loro rivolti, etc..
Una solitudine tutta interna alle nostre famiglie ed agli operatori, è stata scontata, per il modo in cui è stata vissuta dai suoi membri direttamente, ed anche fatta vivere ai tanti soggetti che dei bambini si occupano.
Ha riguardato vari momenti della didattica scolare e del tempo libero, in cui i bambini venivano coinvolti, fino alle loro modalità organizzative, procedurali, amministrative, della sicurezza dei servizi all’infanzia. Molte e diverse criticità segnalano se ancora ce ne fosse bisogno uno scoraggiante distacco per l’attenzione alla loro crescita, per la maturazione dei loro interessi, in aspetti ove sono coinvolti i servizi, le modalità e gli spazi in cui debbono esser accettabilmente accolti, coinvolti, accompagnati e indirizzati.
Un puzzle senza soluzione
Non crediamo e non lo abbiamo mai creduto, che sia la famiglia, l’unica realtà educante. Come si dice in questi giorni, impossibile da sostituire quale ”luogo deputato alla nascita e alla custodia dei legami primari, all’educazione, al dialogo e alla solidarietà, all’ascolto e alla crescita delle persone, alla cura e all’accoglienza, nel riconoscimento della dignità e della preziosità di ciascun componente della comunità familiare, in tutto l’arco della vita”.
Siamo convinti tuttavia che l’educazione sia un lavorio lento, molteplice. Duraturo, permanente e soprattutto emanato da più agenzie. Preferibilmente promosso e coordinato, orientato, favorito, dalla comunità in cui gli individui si muovono.
Mentre si sono generati e accentuati, anche sul piano locale, gli effetti che tutti gli indicatori contemporanei osservano nel tramonto della famiglia allargata. Anche in Sardegna, si delinea sempre più la famiglia minima (in media ogni nucleo familiare è composto da 2,41persone), con l’indice di natalità di 1,42 figli per donna.
Si accompagna ormai lo scenario di una situazione che ci propone spesso modelli ambivalenti: da un lato una ossessiva attenzione alla educazione dei propri figli (spesso unici), e dall’altro controbilanciato da lente e differenziate difficoltà in cui i figli appaiono sempre più orfani, del loro destino.

In una società ove la pluralità di valori ormai diversi, differenziati, gelosamente confrontati se non accesamente opposti gli uni agli altri, in cui le trasformazioni sociali e culturali sventagliano una tale varietà di obiettivi da raggiungere, illudono su una indistinta possibilità di scelte, comportamenti, pareri.

In cui ogni indirizzata opzione, invece viene mescolata continuamente, costringendo e imponendo una incessante programmazione, tutela, prevenzione.
Proprio quando si accentua di più l’abbandono ed entrambi questi modelli incastrati e distanti, da una assenza di sviluppo e da una mancanza di consolidamento del sistema integrato di servizi socio-educativi, si fa più evidente, il respingimento della famiglia, nella sua solitudine. Quale soggetto vièppiù mutevole, l’abbiamo vista dibattersi tra queste due polarità.
Nell’Arci Grighine, abbiamo osservato con contrarietà: quanto sia stata lasciata, all’interno di un distratto ascolto, se non di intolleranza ripetuta, a vagare intontita tra le dinamiche e le tante flessibilità con cui deve confrontarsi continuamente ed operare.
Bombardata, da mezzi e strumenti potentissimi, frequentemente, indotta più che libera, coartata in discussioni preoccupanti (la cronaca, i modelli genitoriali berlusconiani etc), espropriata talvolta quotidianamente di quel lento costruirsi dell’edificio complesso che è una donna/un uomo.
Sempre di più, proprio sul piano locale, francamente non abbiamo visto la famiglia, avvertita, protagonista, maggiormente “sostenuta, accompagnata e riconosciuta in questo essenziale compito, che è umano e civile, interpersonale e istituzionale, così come solennemente affermato nel dettato costituzionale” e non semplicemente farne un protagonista ignaro.
Spesso ci siamo trovati separati, increduli a domandarci, dove molto e più oltre le iniziative avviate, come le attività non soggette a programmazione e pianificazione; nel tempo consolidavano, in più occasioni, l’assenza di una sottostante e adeguata “lettura”, del contesto nel quale le famiglie respirano e procedono.
Incapaci di riscontro o di verifica, delle dinamiche e degli effetti della situazione reale, ove si dipanano delicatissime esperienze educative. Talvolta più che ottemperare a delle soluzioni, abbiamo notato il modo in cui si sono indotti ed acuiti i problemi, registrando frequentemente, la rincorsa a tamponare i bisogni, “sempre impellenti”.
Lo abbiamo spesso messo in evidenza, in questi anni, in più occasioni, come si siano create diverse polemiche e criticità che a cascata hanno coinvolto l’efficacia, la tempestività, la concretezza stessa delle finalità perseguite da sporadiche iniziative rivolte ai minori.
In generale più voci tra i genitori, hanno individuato nell’assenza di programmazione e delle azioni conseguenti a questa funzione amministrativa ed educativa. Rimarcando il deficit di attenzione per il valore relazionale che custodiscono le famiglie. Fin dal loro generarsi, al loro strutturarsi, scegliendo di vivere in questo territorio.
I soggetti che hanno attivato iniziative, non hanno mostrato un’attenzione adeguata, centrale; capace cioè di guardare alla pluralità della loro ricaduta, alla loro coerenza cumulativa, prima ancora che alla maturazione di una attenta sensibilità, per le dinamiche di crescita.
Mai si è mostrata una volontà o la volontà non ha riguardato l’impostazione coerente di scelte relative alle attività complessive della formazione per i bambini (come la scuola, lo sport, l’educazione alle ICT, le lingue, etc.), né all’attivazione di specifici servizi nuovi come quelli innovativi (vedi i corsi musicali, l’animazione teatrale, educazione alle immagini etc.)
Sono alcuni effetti, e mostrano il volto di una trascuratezza rispetto alle trasformazioni sociali, culturali e demografiche che hanno in questi ultimi anni investito la famiglia.

Lo sguardo politico e amministrativo, non ha privilegiato il suo punto di vista, cioè l’evoluzione della quotidianità, nella valutazione delle ricadute delle varie politiche che su di esse hanno agito ed operato. Ha lasciato crescere una estraneità, al sostegno ed al formarsi di nuove famiglie, alla promozione delle condizioni indispensabili per avversare il fenomeno della precarietà di spazi e tempi, per attivare politiche abitative e lavorative. Sul piano fiscale, amministrativo, sociale, soprattutto nelle aree marginali ove le nascite dovrebbero valere maggiormente, le famiglie con i bambini in età scolare, hanno affrontato molte incombenze senza bussola.
Ora più drammatica, da tre anni si è associato a questo malessere anche la stessa presenza della scuola nelle comunità.
Se ci poteva essere un volto nuovo delle politiche ben oltre, le categorie socio assistenziali, per le politiche familiari non più strettamente confinate, lo potevano esserlo nell’ambito dei servizi alla persona, ma anche in tutti quelli indirizzati ad incidere sulla vita delle comunità locali nel suo complesso.
Poteva essere una bella occasione per guardare di più, non solo alle famiglie in difficoltà, ma a tutte le famiglie, considerate non come nuove destinatarie di interventi, ma soprattutto come soggetto protagonista, di molte politiche.
Nulla si è visto per ciò che loro hanno messo in piedi, per le pratiche di socializzazione, di auto aiuto, che crescono da sole, per le attività di accompagnamento, la stessa custodia, l’intrattenimento scolastico, che le famiglie accrescono da sè, né il rafforzamento delle competenze genitoriali o dell’educazione dei genitori ad un uso per esempio, corretto delle nuove tecnologie, etc.
Non parliamo degli spazi family friendly (come vengono chiamati gli spazi gentili) ancora da venire, o delle iniziative che guardano per esempio agli acquisti o dei Kit scolastici lasciati e ignorati nei passa parola (utilissimi), mentre si sarebbe potuti essere protagonisti davvero.
Non si è vista la famiglia come risorsa fondamentale, come una sede comunitaria di crescita delle persone: i minori; per i quali si dovrebbe già eleggere da subito, la residenza, la stabilità abitativa, la presenza con servizi loro rivolti (come la scuola). Diciamo che si è sottovalutata spesso la sua funzione, il peso e la capacità di creare tempi e spazi adeguati, davvero idonei, soprattutto nella loro continuità, nella loro proficua socialità. Così come non si è visto un monitoraggio adeguato delle attività, delle strutture e dell’andamento dei suoi impegni.
In più occasioni, interruzioni improvvise, esagerate quanto frettolose pianificazioni, smantellamento di servizi, o persistenti vuoti. Sono stati gli indicatori di una distrazione sulle analisi, sulla evoluzione delle relazioni tra scuola e famiglia, sulle prospettive educative, sulla stessa tenuta del costrutto residenziale comunitario.
Queste riflessioni avrebbero potuto, evidenziare interventi rivolti alla famiglia evidenziando un’altra: la promozione di politiche ordinarie e strutturali, non semplicemente o banalmente emergenziali, loro rivolte.
Sono sfuggite molte attenzioni corrette, ai tempi di vita, come alle attività che esse segnalano, promuovono, esigono, propongono.
Fatti che hanno suscitato il convincimento in noi, di un vuoto manchevole di riflessione (che non può limitarsi al piccolo progetto occasionale), tanto per evidenziare quanto sia divaricata la distanza tra i bisogni e l’ente locale sempre più incaricato dalle norme, di suoi nuovi compiti educativi e di socializzazione culturale.
Palese è stata la mancanza di penetrazione delle dinamiche demografiche, e complessivamente si è dimostrata una incapacità, di favorire una equilibrata misura fatta di costanza, progressiva attenzione, continuità della gestione dei servizi.
Iniziative varie e divaricanti
Le difficoltà in cui organizzazioni improvvisate e disancorate dalle esigenze delle famiglie, accavallantesi e talvolta davvero disgreganti. Sono stati avvenimenti di grande spreco energie, con cui si rendevano inconciliabili, gli uni con gli altri. Anzi frequentemente, le abbiamo viste fronteggiarsi, e individuare per esse il solito metodo risolutivo: l’aumento del carico di lavoro e di fatiche degli operatori, sempre e solo in soluzioni estemporanee.
La messa in funzione tardiva, quanto dei frettolosi rimedi, di operatori responsabilizzati e poi lasciati soli, a cui magari seguiva la eliminazione del servizio (come la ludoteca della quale ora si avverte l’assenza, ora…).
Hanno prodotto e mostrato l’indice di una estraneità costante ad un progetto dalla difficile decifrazione; di un qualche disegno o trama educativa comunitaria, alla quale far riferimento.
Ne parliamo pubblicamente proprio per sollecitare e compiere uno sforzo comune, collocare al centro i bisogni dei bambini di oggi e dei bambini di domani: soluzioni organizzative durature.
Portare, molte o la gran parte di queste situazioni a razionalità, inquadrare i vuoti, le incongruenze, affrontare con idee nuove, soluzioni meglio organizzate, fronteggiare novità insorte. Poteva e doveva avvenire in strutture permanenti, stabilmente rese coerenti da un progetto rivolto all’infanzia.
Una trasformazione ignorata
La crisi economica, assieme ad altri fenomeni quali l’invecchiamento della popolazione, la periferizzazione diffusa dei servizi e di ogni forma di socialità, l’incremento dei flussi di pendolarismo, il diffondersi di condizioni di precarietà e di impoverimento, sono divenuti fattori che determinano una forte pressione della spesa sociale dei bilanci locali, spesso hanno visto quelli familiari resistere, in solitudine a novità drammatiche (la più grave crisi economica degli ultimi 70 anni).
Facendo da ammortizzatori al crescere della domanda delle prestazioni, non si è voluto guardare all’allargarsi dei suoi compiti, dato che su di essa già grava il fenomeno complesso come l’invecchiamento dei familiari, di congiunti gravemente ammalati, l’aumento del carico assistenziale e sanitario dei congiunti, l’aumento dell’insicurezza.
Neanche quando si è aggiunto un quadro di insistite restrizioni economico finanziarie della spesa per l’istruzione, creando diseconomie sulla scuola, si sono operate indiscriminate sottrazione, di risorse finanziarie, del personale, delle competenze, dei programmi sulla cultura in genere; toccando e coinvolgendo in maniera acritica i tanti luoghi, periferici come il nostro.
Mentre i tagli affastellano situazioni, condizioni economiche di regioni molto diverse, socialità e culture molto dissimili. Negando a tutti di fatto, le decisioni equilibrate e coerenti ai propositi educativi necessari ai bambini di ciascun territorio.
Dovevano essere coordinate delle risposte per una situazione da temere, da tenere in allarme, per ciò che sta producendo diffusamente: la riduzione della scuola a poche abilità di base; impoverendo i percorsi di apprendimento nella periferia, divaricando le distanze e le disparità sociali tra le famiglie, nella società.
Ma non hanno declinano la necessità di una continua e sorvegliata organizzazione, gestione complessiva e la definizione dei servizi informativi e progettuali.
In questo quadro sul piano locale si è volatilizzata ed è mancata la lucidità per comprendere, come e quale peso dovessero avere le scelte. Esito di trasparenza, tra le diverse tendenze che, in questi anni hanno prospettato scenari diversi per la scuola.
Non più persi tra le altalenanti oscillazioni (di dialoghi fasulli), ma in funzione del mutamento complessivo con cui la società sta guardando alla scuola. Nulla si è fatto per collocare la nostra comunità responsabilmente, oltre quelle che vogliono prevalere ispirandosi ad istanze diverse :
Il primo burocratico e professionale, cerca ancora coerenze ad un edificio arcaico del sistema amministrativo (ormai difendendo più se stesso, che non la funzione della scuola in una società mutata);
il secondo, contraddistinto dalla pretesa del riconoscimento di spazi di discrezionalità per l’esercizio delle competenze professionali, organizzata secondo la «burocrazia professionale» (priva di attenzione critica alla formazione).
Dato dalla manageriale introduzione di logiche di mercatizzazione nel settore pubblico, attraverso un arretramento del ruolo dello Stato ed un progressivo affidamento a dinamiche competitive (di programmi,
professionalità, civismo) fondate sulle scelte dei consumatori, cioè di studenti e famiglie;
il terzo, quello democratico-critico rivolto, contro le derive neo-liberali, attento ad affermare scelte idonee sia per rivitalizzare le occasioni (spesso “tradite” dagli organi collegiali e dall’autonomia) di dialogo, dentro la comunità scolastica, e, soprattutto, con gli attori e le comunità dei contesti locali.
Impegnato più degli altri a fronteggiare la caduta dei livelli di studio, sensibile alla identità culturali.
Attinge ancora ad orizzonti politico culturali contrastanti. Ha posto in questi anni la questione di una ridefinizione decisiva del sistema di welfare, capace di favorire, le novità ed il ruolo della conoscenza, che proprio in periferia avrebbe meritato migliore lettura.
Mai abbiamo visto una attenta valutazione di queste tendenze che operano e producono effetti, a Villaurbana e non altrove.
L’esproprio degli operatori
Da genitori, esautorati, dovevamo soggiacere a via liberi verticistici e interessati (non prima di aver fatto finta di dire sì a tutti). Dai quali erano soprattutto estranei i professionisti, gli insegnanti, gli operatori, etc. Per tavoli separati, lontani e lontane le istituzioni nella creazione di una presenza di riferimento stabile e continua, di referenti (amministrativi, politici e professionali) a cui assegnare la volontà vera, di incontro dei fenomeni psicopedagogici e sociali per tutti i bambini coinvolti.
Abbiamo assistito alle anchilosate reazioni alle critiche, alle iniziative presenti, previdenti, mancanti e attivate, che avrebbero potuto benissimo attuare gli uffici normalmente.
Se non fosse stata sottratta loro la capacità propositiva (da un pervicace centralismo), definendo nei tempi, la compatibilità e la coerenza delle azioni poste in essere.
Avrebbero potuto da sensibilissimi recettori dei bisogni delle famiglie e delle risorse, individuare, come sentinelle del territorio: ma intercercettando sul campo, le funzioni straordinarie che le famiglie hanno tenuto ripiegate, quali soggetti costruttori di solidarietà e facilitatori di coesione sociale.
Minima, è stata l’autonomia, nella facilitazione e nel concorso degli uffici a creare circuiti di comunicazione, minima nel promuovere il superamento delle situazioni di separatezza tra gli attori istituzionali, così come nel rielaborare i significati culturali circa i temi sociali della diversità, della devianza, del contagio educativo.
Quando qualcosa è stata fatta, mai la delega alla pianificazione, ha visto nel monitoraggio dei servizi e delle strutture, la valutazione critica degli effetti.
Reso sfuggente il carattere delle attività realizzate. Così come scivolose sono state, le attività di ascolto e coinvolgimento dei genitori e degli stessi bambini, nell’apprestamento di un contesto dialogico nel livello comunale, segnando così fortemente l’incisività e condizionando l’esito positivo complessivo di più iniziative.
Invece di condurre una temporalizzazione annuale e pluriennale delle iniziative, una gestione integrata magari su base distrettuale, delle risultanze e nella collaborazione, con tutte le componenti, di attività, servizi, esperienze.
Ogni volta che si è provato ad esigere attenzione, stabilità, coerenza abbiamo avuto sempre irate e aggressive reazioni. Quando vedevamo allontanarsi, ogni programmazione della segreteria scolastica, della direzione didattica, riguardo ai servizi educativi, lo stare lontani i servizi sociali e sportivi; o quelli culturali, rivolti ai minori volta per volta, da genitori abbiamo visto che non si è mai affacciata l’idea di una conduzione, permanente, pluriennale, capace di prospettiva e soprattutto nel definire una sede riflessiva, ragionante. Costruita specificamente, per incontrare nella continuità, la quotidianità così come le emergenze
educative.
L’assenza della centralissima funzione strategica, quella dell’ascolto e della pianificazione adeguate, per i bambini della comunità che non riguardasse le date o i tempi, o le banali lamentazioni. Non ha mai precipitato, una idea frutto o indicazione della collaborazione e diligenza delle argomentazioni degli insegnanti, delle opinioni dei genitori, dalle difficoltà degli operatori, dei genitori più attenti.
Obbiettivamente non si è stati in grado di prevedere le criticità, le sofferenze, nelle esperienze di nuova attivazione, come nel coprire i vuoti significativi; insieme non è sorta quella combinazione comunitaria che ne avrebbe dato una impronta coerente, davvero identitaria.
L’assenza di una struttura permanente
Proprio sul piano locale, così come le cose invece segnalano da tempo: la necessità di una struttura stabile che avesse come compito, quello del porre tutto a coordinamento, accentuando la chiarezza ed il controllo di efficacia, presso tutte le sedi nei quali i bambini agiscono. Facilitando il riconoscimento dei bisogni, che continuano invece a maturare istintivamente, senza la comprensione della loro latenza, della loro incubazione, del loro affiorare nella crescita. Più volte abbiamo colto l’incapacità di prevenirli e canalizzarli per tempo.
In un contesto in cui, la bussola avrebbe dovuto indirizzare: l’attenzione ai bassissimi tassi di natalità e all’occupazione femminile, tra i più bassi d’europa, una dualità che sarebbe potuta essere coniugata, è stata sempre ignorata.
Di fronte a questi dati, l’assenza di volontà nell’attivazione di quei servizi relativi all’accoglienza mattutina e pomeridiana presso la scuola dell’infanzia e primaria, o alla mensa per la scuola primaria, al rientro pomeridiano per la scuola media, si sono messe in luce, la distratta attenzione a servizi strategici per una fase cruciale della crescita dei bambini e delle esigenze dei genitori nella nostra comunità.
Non è stato valutato neanche l’inserimento scolastico prescolare, quale vantaggio esso offra, in un anno o due in più, di preparazione, all’età scolare vera e propria.
Mai una adeguata valutazione e predisposizione della logistica e dei servizi di base connessi, ha posto al centro i bambini i ragazzi (con essi i servizi che avrebbero fatto bene alla comunità). Tantomeno è parso assistere ad un inventario davvero indispensabile degli spazi e delle strutture. Capace di scrutare il loro uso effettivo, permettere la verifica costante, quale utilizzo se ne compia, come li riempiono e come li svuotano, con la loro presenza i bambini.
Nessuna azione di incontro in merito. Va da sé, invece (e facciamo solo un esempio) che nel Parco S’Arrieddu ogni amministrazione è pronta a disegnare un percorso, una guida in cemento, fino a coprire completamente, il poco verde rimasto. Tutto è accaduto, senza una battuta, una riflessione sull’uso di un importantissimo spazio, di cui si sono davvero appropriati i genitori, i bambini, le famiglie. Senza nessuna informazione o comunicazione, nessuno mai ha chiesto loro un parere, non parliamo di un piccolo referendum, per uno spazio così vissuto, certo avrebbe meritato una migliore gestione comunicativa del suo uso e del suo stravolgimento e agibilità.
Anche quanto è stato rilevante per l’organizzazione dei loro tempi di apprendimento scolastico. Indica come nessuna previsione è stata predisposta in merito alle difficoltà suscitate anche sugli spazi e le strutture, sul personale, dalle novità della “Gelmini”.
Non c’è stata solo, una sottovalutazione “fin dalla prima ora” di quel provvedimento, ci si è distratti anche dopo. Per poi cercare malamente un recupero, sul maestro unico, la pluriclasse, le comunicazioni tra scuola e famiglia.
Si tratta di questioni che hanno fatto emergere un quadro nel quale, per gli spazi e per i tempi di apprendimento tra agenzie educative e famiglie, non c’è mai stato un monitoraggio degli effetti di questa riforma, che invece si è riflessa da subito sui bambini di Villaurbana come di tutti i comuni d’Italia.
Non più e non soltanto sui servizi, mai si è guardato alle attività integrative, sotto tutti gli aspetti.
Quelli specializzati (la musico terapia, l’educazione alle immagini, l’educazione all’espressività corporea etc.), dedicati ai bambini in difficoltà, mai si è istruita la prevenzione: del disagio successivo alla nascita, quello maturato in anni di distrazione sui bisogni dei ragazzi e dei giovani (con azioni di accompagnamento permanente).
Sempre lasciati a se stessi, ed agli effetti indotti da una riforma calata dall’alto, dai riflessi e dai mutamenti epocali, a cui non si può restare davvero indifferenti, non sono state viste le trasformazioni drammatiche di questo decreto.
Si è sottovalutata la pressione in aumento sulle famiglie, di fronte ad una trasformazione incipiente, che ha di fatto cresciuto invece se non esasperato una maggiore attenzione all’educazione dei figli. Tanto è maturata questa preoccupazione, quanto si è approfondito il malessere, per il loro futuro. Né si è mai, guardato agli effetti ed al contesto nel quale con misure e decisioni relative, a ciò che di virtuoso avrebbe favorito lo stemperarsi delle inquietudini familiari.
Coinvolte e sconvolte, ormai in ogni programma che il nucleo familiare, deve continuamente adattare.
Non solo per l’estate, ma in tutti periodi dell’anno, di fronte ad insolite novità.
Rivelando una delle disposizioni di fondo, che non si è saputo e non si è voluto potenziare, specie nelle amministrazioni periferiche del nostro territorio, cioè il dialogo.
Per questo, increduli, guardiamo all’assenza di una struttura presso la quale far maturare, convergere e canalizzare ma anche cogliere e percepire i cambiamenti ed i disagi possibili. Crediamo si sarebbe potuto favorire, una migliore percezione. Individuando la messa a repentaglio delle fragilissime strutture comunitarie nelle quali la scuola, gli spazi e i tempi in cui prende vita il progetto educativo e di crescita di un bambino, invece avrebbe potuto trovare migliore corpo e struttura.
Articolare un progetto
Nessuno scenario si è creato, per prevenire né contenere tutte queste novità, nulla è stato attivato al fine di curare una consultazione permanente nel territorio, nel quale è inserita la nostra comunità. Né mai è stato contemplato alcun progetto di crescita interno e preparato a recepire un disegno intercomunale, che riguardasse la scuola o l’infanzia.
Facciamo solo un esempio la scuola paritaria privata di Siamanna forte dei suoi(?) 38 bambini prende 158.200,00 di cui 63.381,00 (il 40,25 % di contributo regionale concesso sulle spese preventivate), finanziato dal Programma degli interventi a favore delle scuole dell’infanzia non statali della Sardegna per oneri di gestione. L.R. 31/84 art. 3 lett. c) A. S. 2010 - 2011 - Capitolo SC02.0051 UPB S02.01.003) vedi Ass. Pub. Istruzione Decreto Assessoriale n. 59 del 03.11.2010 (scavalcando numerose altre realtà).
Mentre Villaurbana (finanziamento Ass. Reg. Servizi Socio Assistenziali allestisce un asilo
nido, riattando una struttura con € 199.379,00 (ritenuta anch’essa di indubbia importanza) che non si sa con quali bambini potrà avviare le attività, dato che la maggior parte dei bambini di Villaurbana vanno all’asilo nido di Siamanna.
Basti questo per dire, di cosa siano fatte le politiche dei servizi all’infanzia, nel nostro territorio. Un numero sempre più ridotto di bambini, viene conteso per finanziare opere l’una contro l’altra armata.
Ma non è solo questo che le caratterizza, le mediocri oscillazioni, con cui non si è stati capaci di favorire nessuna nuova configurazione organizzativa. Adeguando e sviluppando progetti quale vera medicina e prevenzione di ogni disagio. Perché non basta lamentarsi, cioè non basta rinunciare a essere interpreti avvertiti di un bisogno educativo e associativo che sbuca da ogni angolo di strada, per cambiare le cose, magari demandando alla responsabilità di altri.
Serviva e serve la definizione di una reattiva risposta responsabile.
Neanche quando ci si poteva sottrarre alla grande pena, di una visione dirigista, o di una labile articolazione della collegialità territoriale; essi sono stati visti poco più che oggetti.
Non si è capito che occorreva guardare con occhi nuovi alle esigenze dei bambini, che coinvolgono livelli davvero vari come quelli delle associazioni di enti, istituzioni, integrate nel territorio, accresciute dalla e per la professionalità degli operatori etc.
Pensare una struttura organizzativa con questi propositi, avrebbe significato allestire il peso di una maggiore responsabilità di progetto con tutti gli attori del sistema educativo.
Cosa ci vuole a rendersi conto come tutto ciò dovrebbe suscitare un ripensamento nel compiere le valutazioni, di allestimento di strutture organizzative, destinazione di fondi etc.
Attivare la partecipazione di tutti e la maturazione collettiva ad un prospettiva educativa
comunitaria e territoriale.
Le decisioni compiute in questi anni, dovevano guardare e realizzare anche una ricognizione costante, del saper fare di tutti gli attori, che si confrontano con i bambini e che valutano le loro propensioni; creando sostegni alla crescita personale e professionale, degli operatori, facilitando ed ampliando ciò che ognuno ha fatto, fà e porta avanti, per motivi diversi, professionali, personali, etiche e di fede.
Svolgendo un fattivo contesto dialogico, di indirizzo, indispensabile a valutare i risultati raggiunti, verificare l’efficacia delle proposte e delle soluzioni innovative che sarebbero dovute essere inserite, sulle dinamiche che ogni giorno insorgono.
La navigazione a vista, palesatasi, non è soltanto il di più criticabile, ma una delle tante facce di un problema, con cui guardare criticamente e costruttivamente ad un nuovo schema, con cui mettersi in cammino per una nuova amministrazione.
Siccome crediamo che è il contesto che qualifica una nuova comunità, anche una nuova idea di politica educativa, deve andare oltre e perseguire l’attenzione ad una realtà in movimento.
Eppure, si è affacciata diverse volte la possibilità in questi anni per qualificare davvero un progetto articolato. In essa si poteva porre una premessa fondante di future relazioni virtuose, di fronte ai persistenti vuoti, che si vanno via via creando. In cui la partecipazione dell’ente locale al progetto educativo comunitario, doveva crescere non solo nei doveri “normativi”, ma soprattutto nella realtà.
Serve cambiare direzione nel procedere. Soprattutto rendere stabile l’attivazione delle relazioni e la coesione intorno ai bambini, alla loro salute psicofisica, fare di più e meglio, meno che mai commuoversi degli impropri successi.
Occorreva umiltà: una donna/un uomo è figlio di tanti incontri, esperienze, accadimenti, culture, fortune.
Perché se dovessimo considerare il quadro dei dati informativi che riguardano la scuola, e che riguardano i risultati scolastici, ci sarebbe poco da stare allegri. Nei dati dell’abbandono scolastico (date dalle statistiche provinciali e regionali, non conosciamo i dati comunali) spesso ci sono i fallimenti comunitari e territoriali.
Non semplicemente scaricabili sulle famiglie, tanto più le responsabilità sono imputabili capillarmente. Spesso è proprio nella scarsa collegialità della gestione di questi servizi, che le difficoltà si racchiudono. Essa ha inizio nello svolgimento delle prime attività educative, dove i bambini e i ragazzi sedimentano i naufragi e fallimenti successivi e purtroppo “plurali”.
Nessuno degli attori ha preteso in questi anni alcuna valutazione del funzionamento di queste istituzioni, sfogando in solitudine le proprie frustrazioni; tanto meno è stata avvertita la necessità di una struttura stabile e integrata che si chieda costantemente, dov’è la causa di queste sconfitte. Qual è la fetta di responsabilità della dirigenza della scuola, degli insegnanti, degli operatori che avrebbero dovuto vedere, degli amministratori che dovevano vigilare. In quale sede organizzativa, in quali frangenti si doveva prestare attenzione all’efficacia dei servizi ?
Nell’ufficio del sindaco o piuttosto nel consiglio di classe, nei servizi sociali o nella dirigenza sportiva, nella biblioteca piuttosto che nelle comunità terapeutiche. In chi si deve trovare l’intelligenza per predisporre quanto necessario? Quanto è spezzettato il puzzle della responsabilità di un fallimento scolastico o peggio educativo, lo leggiamo anche nei ragazzi che sarebbero potuti essere e non lo sono stati.
Lo diciamo con grande preoccupazione perché nella rosa dei ragazzi che abbandonano c’è anche (ed è una novità) il ragazzo che non ha particolari problemi in famiglia.
Per questo servirebbero gli stati generali dei bambini e dei ragazzi e di tutti coloro che con loro vivono, operano e costruiscono non sottraggono alle pratiche presenti, il loro impegno nei confronti dei bambini.
Una fetta prominente del tempo dei ragazzi e di tutte le strategie che riguardano il loro futuro, non ha visto e non vede, il contraltare di un progetto. La mancanza di un servizio organizzativo di base, uno sportello davvero interfaccia, capace di una qualche trama di coordinamento, per esprimere un piano di lavoro dal respiro pluriennale.
Impegnati a constatare i tagli alla disponibilità delle risorse necessarie, diciamolo non si è stati in grado di reagire. Figuriamoci se qualcuno guarda attivamente e ragiona, o se ci riuniamo a discutere dell’aumento organizzativo dei bisogni formativi e disciplinari, o delle disgreganti riduzioni del personale che allenta la vigilanza, la sicurezza, delle strutture, le aule attrezzate etc.
Tantomeno guardiamo a cosa genera la mancata programmazione dei carichi di lavoro.
Quale peso hanno invece strutture inutilizzabili, assenti, prive di una adeguata collocazione tecnica e didattica, territoriale etc.
Sono tutti elementi che fanno un quadro complessivo di disagi, di respingimento verso i contesti privati, nel trasferimento dei costi in seno alle famiglie.
Negando alla comunità importantissime fonti di socialità, che in modo controverso poi urtano la stabilità emotiva e psicologica di tutte le persone coinvolte. Non disegna l’intervento di un soggetto che si dovrebbe chiamare comunità responsabile.
Da queste fonti di conoscenza, di utilizzo e stabilizzazione comunitaria dei servizi, si poteva partire per dare linfa al riscatto che le famiglie ambiscono nell’affidare alla scuola, ai servizi educativi, i propri figli.
Se invece guardiamo al futuro, non c’è una prospettiva minima, qualcuno sa, quali sono oggi le competenze da apprendere per un futuro ricco di successi, professionali e lavorativi ?
Non abbiamo visto mai una attenzione accorta all’innovazione che riguardasse le Information Comunications of tecnology, l’alimentazione, i mestieri pratici, la tecnologia in genere, o altro.
Mentre una preoccupazione muta, silenziosa, ma carica di dignità non ha ancora sponda.
Nè incontra il desiderio di un futuro sereno, capace di diradare le preoccupazioni, con cui le famiglie, traducono le preziosissimi spese della loro preparazione.
Definire fin da adesso le politiche dell’occupazione, innovare le politiche locali che guardano alle agevolazioni fiscali per le aziende che favoriscono l’occupazione giovanile e femminile, o allestire strutture proficue capaci di alleggerire l’ansia delle famiglie.
Promuovere e favorire, la canalizzazione ed una maggiore efficacia dell’attuale esborso di ingenti somme di denaro, per la formazione dei figli che, pur avendo acquisito titoli di studio elevati, spesso schiantano nella difficilissima situazione del mercato del lavoro.
Orientare meglio ciò che nei bambini cresce, che potrebbe essere strategica tra 10 o 15 anni, per es. a percepire come lavorare la terra, quali valori e ricchezze custodisca; cosa significa il rispetto dei luoghi che si calpestano, o cosa significa curare la produzione anche banale se volete, dell’orto.
A ciò si aggiunga l’assenza o la presenza spesso di decrepite tecnologie obsolete e inadeguate. Non si parli di aula di informatica. Giammai, perché non si coglie l’ambizione di un disegno indispensabile di una formazione seria e adeguata, fatta da specialisti su questo settore, assolutamente cruciale per il domani.
Mentre si acuisce la crisi di una scuola sempre più sfibrata, demotivata ed impoverita nelle sue professionalità e nei suoi risultati, è bene domandarcelo al cimento di un nuovo anno scolastico, quanto sia strategica questa fase educativa. Se questa incapacità di vedere lo stato delle cose, non la impoverisca ancora di più, l’allontanarsi dalla lettura strutturale e sempre più spesso contradditoria dei fenomeni.
Domandiamocelo, interroghiamoci se il territorio deve essere capace, o se deve avere l’abilità a compiere investimenti e custodie, svolgere progetti sterili o conseguire obbiettivi per i bambini e ragazzi con servizi didattici e formativi adeguati.
Una nuova mappa scolastica
Proprio mentre si ridisegna la mappa scolastica provinciale e regionale, e mentre la nuova organizzazione (non soltanto geografica) intende premiare la scuola della città, e porre essa sola, al centro del sistema, quale unica realtà amministrativa.
Non accorgendosi di ciò che già oggi, nel monopolio scolastico realizza la scuola superiore (specie nei primi anni), quando riceve gli allievi alla maturazione e spesso al tardivo riconoscimento delle loro difficoltà. Figuriamoci se sopperisce alle necessità appena un po’ di tempo prima, quando il suo sbarramento è indiscriminato e slegato, completamente sottratto, alle esigenze della periferia, dove le difficoltà nascono.
Questa individuata, centralità della scuola di città, quando diventa centro di attrattiva, anche per la sua stabilità organizzativa. Con le sue procedure vantaggiose, sulla base del numero degli iscritti, accentua di fatto la selezione, non solo nei centri di eccellenza (e nelle aree più sviluppate del paese), dei bambini e dei ragazzi già fortunati .
Rilanciando questo effetto (affatto accidentale) della Gelmini, avrebbe meritato più attenzione. Perché diviene la sola sede, dove far convergere gli allievi più portati e specificatamente inclini ad un apprendimento di elite, lasciando alla periferia, il costo umano e intellettuale del disagio, dell’abbandono.
Occorre percepire ed invertire questa destinazione, reagendo già oggi ad una scuola che punta agli obiettivi marginali, che fornisce una pletora di servizi e di nozioni povere, mediante le banali competenze di base. Il più delle volte non indispensabili e soprattutto non spendibili in genere nel futuro del nostro territorio.
Ecco perché serve una scuola attenta ai movimenti sociali e culturali del nostro presente, perchè la Gelmini non pone riparo alle disparità operanti. La scuola doveva, essere più integrata in rete, soprattutto dal lato delle esperienze didattiche, dal lato del riconoscimento delle inclinazioni degli allievi, dell’identità culturale dei territori, che devono cimentarsi con maggiore attenzione sui traguardi dei saperi e sugli effetti proposti dalle nuove egemonie.
E’ quindi sterile una contrapposizione tra scuola cittadina e territorio, tra approfondimento labile e illusoria parità di diritti. Potremmo definirla anti storica, essa introduce elementi di squilibrio, tra citta e aree marginali. Mentre indubbiamente il territorio doveva essere potenziato, di novità e di competenze, oltre che di coordinamento, di motivazioni. Non è solo la mobilità, che può offrire una vantaggiosa coesione socioeconomica.
Facendo con lucidità, le cose essenziali, compiendo una verifica degli elementi fondamentali che in un contesto periferico andavano approfonditi, misurati da una moderna cultura del diritto allo studio.
Con essi quello della personalizzazione dei servizi specifici, ovvero guardando alle prestazioni che si adattino ai destinatari, con una modularità, in cui la persona deve tornare ad essere soggetto e non più oggetto del diritto allo studio.
La cui utilità deriva non solo dal processo che porta alla prestazione, ma, in primo luogo che guardi alla relazione tra operatore e allievo, tra una struttura stabile e permanente, fino ai suoi riscontrabili effetti conclusivi dei curriculum.
Svolgere con un protagonismo diverso questo processo, modernizzando i servizi, mediante la qualificazione del capitale umano e lo sviluppo di alleanze virtuose, con altri territori, con altre esperienze periferiche.
Osservare i rischi pericolosi tra disinvestimenti e diminuzione dei fondi, non diciamo né chiamiamo tutto ciò riforma, ma se questi vengono pure eletti come priorità, si deve saper pensare diversamente, prevedere gli effetti che possono produrre i tagli. Non certo adombrando strategie compensative. Perché sulla scuola non si abbattono distrattamente, esse operano disarticolazioni, allentano la profondità dell’intervento scolastico. Di certo non si può banalmente scaricare sulle famiglie, una struttura della spesa modificata, altri svantaggi,
invece lo dobbiamo dire, è stato il criterio guida delle scelte.
Se questa funzione non può essere mortificata da quello della convenienza ragionieristica, né da un sussidiario sostegno alle scelte compiute da una dirigenza, spesso paralizzata di suo, non solo dalla legge. Oggettivamente non si sono trovate le novità, quando si sono prese decisioni, sono state subite, non cogliendo mai la necessità di una trasformazione qualitativa della spesa, e cioè operare decisioni capaci di impattare i cambiamenti, in modo virtuoso, investendo e non tamponando.
Dunque a maggior ragione, di fronte a tutte le novità di questi anni: apprestare adeguate reazioni e non far finta di affannarsi a spostare somme e investimenti, da altre legittime necessità; accentuare e impegnarsi sul valore delle risorse relazionali, mostrando attenzione a quelle organizzate, ed a quelle informali, a quelle che non si limitano al lamento per accrescere le politiche educative integrate. Dando peso e rilievo all’educazione intesa in senso ampio della persona umana, comunitaria e territoriale.
Sarebbe stato meglio vedere se la spesa associata si potesse associare ancora, non soltanto all’efficacia dell’azione familiare e genitoriale, quanto a quella delle agenzie educative; ciò avrebbe potuto preparare un futuro diverso già da oggi. Facendo sì che questo stato di cose agevolasse, la partecipazione diffusa soprattutto il monitoraggio effettivo di queste attività.
Vedere infine il proprio tempo dentro un progetto adeguato alle difficoltà dell’oggi, è un compito che è già fra noi. Far entrare nella nostra realtà, un percorso di nuove e più qualificate generazioni, in cui un effettivo sapere, ci pare la necessaria premessa per porre su basi moderne il progetto di un nuova comunità.
È un tema che mette in luce la mancanza di un’unità e coerenza amministrativa che guarda alla scuola, con tutto l’apparato del pur piccolo ente locale, dando fiducia e priorità alla conoscenza.
Accentuare l’impegno a qualificarsi del personale docente, al miglioramento di tutte le performance educative, a spendere con maggiore soddisfazione e gratificazione il proprio tempo libero e di lavoro, di studenti, allievi, famiglie e operatori.
Invertire questa superficialità con cui spesso si specula, facendo dibattere le famiglie su cose importanti non delle più seccanti e sconclusionate, se non palesi criticità, di coordinamento tra operatori (docenti ed educatori, docenti ed esperti delle attività integrative pomeridiane, servizi culturali, iniziative sportive, catechistiche ecc.).
Non risolvere il tutto nel carico di un maggior impegno a ciascuno di essi, come se questo possa migliorare il servizio. E’ proprio il contrario, senza una analisi adeguata degli effetti delle attività, come i carichi del lavoro, rischiano di compromettere anche il buon lavoro generato.
Non possiamo credere, che ogni risultato ed ogni novità possa reggersi sui singoli, a cui
più pesanti ed evidenti si aggiungono altre fatiche.
A cui nessuno sforzo successivo, potrà sostituire questo inizio anno “difficile e laborioso in cui le energie solitamente proficuamente impegnate a programmare le attività scolastiche e le uscite, il confronto, a far venire le idee. Sono state spese invece per organizzare gli orari, creare acrobatici incastri, mettere pezze, salvaguardare per quanto è possibile, il benessere dei bambini che comunque disorientati, persi perché a sei,sette, otto, nove e dieci anni hanno bisogno di continuità e punti di riferimento”. Così già dai primi mesi
“quando ti dicono che il tempo pieno è morto. Stare 40 ore settimanali dentro la scuola non significa fare il tempo pieno. Il tempo pieno è fatto di compresenza tra insegnanti, di laboratori, di uscite, di tempo per i bambini e i docenti, tutte cose che non esistono più”
(N.D.R. una mamma su La repubblica).
Così come quest’anno i bambini non andranno tutta la giornata in gita (ora pagate persino dalle famiglie) né avranno il tempo di stare a pranzo fuori, per giornate intere a vedere cose molto interessanti, com’era stato loro promesso. Quando manca il rapporto insegnanti/alunni stabilito dalla legge, emerge la fatica, la resa, non appare naturale essere professionisti, ma volontari, a svolgere un lavoro sempre più avventuroso e carico di stress.
Con tutta la scuola divenuta più povera, il carico sui maestri, ne fa vacillare le strutture portanti. Rischia di incanalare il depotenziamento del loro ruolo e della loro responsabilità (non possiamo vedere solo la pur apprezzabile disponibilità al sacrificio).
Perché siamo consapevoli che tutti i bambini, proprio tutti i bambini, hanno bisogno di sentirsi adeguatamente riconosciuti, di essere apprezzati, di ricevere attenzione e ascolto. In modo che ognuno abbia il tempo e la possibilità di stabilire relazioni significative, poter comunicare ogni parte di sé.
Noi crediamo sia necessario una riflessione profonda in merito, perché temiamo divenga il metodo con cui risolvere i problemi senza il coinvolgimento di tutti i soggetti. Non ci pare che sottrarre loro il tempo del riposo possa essere la soluzione per gestire l’organizzazione dei tempi e degli spazi dell’infanzia; se mai le soluzioni possono e debbono scaturire, con l’armonia di tutte le parti in causa, famiglie, bambini, operatori direttamente coinvolti.
Non banalmente ridotto a propaganda elettorale (i soliti bravi ragazzi), al contrario interrogarci su quali cause invece queste scelte le hanno generate e cosa possono generare.
Il punto critico
Se più banalmente, noi tutti, abbiamo operato delle corse a far coincidere attività non sempre coordinate, su cui non tutti gli agenti si sono resi disponibili e concilianti nella realizzazione delle funzione-obiettivo specifiche. Anche questa scelta della scuola, parcellizzata e separata ai soli genitori coinvolti da problemi che riguardano tutti, lascia aperta una questione che non và sottovalutata e che invece coinvolge, tutta la scuola.
Drammaticamente invece è ciò che abbiamo vissuto, nei mesi estivi, quando la polemica ha messo in evidenza il bisogno di una migliore disponibilità, oltre che fermezza per ricondurre il tutto alla realizzazione di politiche educative integrate. Abbiamo insistito su una sensibilità programmatoria, ed una determinazione diversa, che avrebbe dovuto spianare le difficoltà che si sarebbero facilmente stemperate. Tutto ciò invece alla fonte stessa di attivazione dei servizi, ha mostrato una estraneità evidente. Data l’assenza di una vera e
propria capacità di definire un quadro chiaro del progetto educativo, perseguito, ma anche la paura di non saper gestire gli sbocchi.
Il distacco della componente amministrativa e dirigenziale (indisponibilità totale e indifferenziata del dirigente), l’inconsistenza e l’evanescenza (meglio sarebbe dire, la cattiva coscienza di vedersi sbertucciare dalle decisioni dei genitori) dell’amministrazione comunale, l’incapacità a creare sinergie positive nel territorio, a non coinvolgere la Direzione regionale della scuola e dell’Assessore Regionale alla pubblica istruzione. Le indecisioni a lavorare con una struttura stabile e permanente che segue e promuove nella azione amministrativa il ruolo della scuola, ci hanno portato a questa situazione.
Per non parlare della cortesia e dell’educazione degli amministratori dei due comuni vicini. Ai quali certo sarà mancato il tempo per leggere la proposta (dei genitori) di un incontro(senza risposta), quando abbiamo chiesto, un semplice quanto chiarificante dibattito, sui pericoli delle scelte incombenti.
La lettera dei genitori depositata presso le segreterie, il 17 luglio, aveva questo banale obbiettivo, non era l’arrogante imposizione di una gestione integrata, ma un incontro serio di riflessione sull’efficacia dell’apprendimento dei bambini, in classi di pari età.
Mai un’azione in grado di immaginare e cogliere il contributo di tutte le componenti educative comunitarie, è stata indetta.
Tale almeno da far germogliare la trama di un progetto, una rete di ruoli e funzioni, che lasciasse intendere una attenzione nuova, adeguata, capace di allontanare il disagio vissuto da tante famiglie. Ancora una volta non sono state lanciate, proposte, pareri ed iniziative, e tra genitori invece abbiamo vissuto e assistito ad una vera amputazione e ad una scoraggiante impassibilità.
Non vorremo che le giustificazioni fossero le stesse che a Villaurbana, nel tempo non si sono accorti della chiusura di una classe della scuola dell’infanzia, delle dinamiche pericolose che ciò ha innescato.
Le scuse accampate sono numerose, il turbinio di giustificazioni stordisce davvero: le leggi vanno applicate (il decreto Gelmini), la sicurezza costosa, (vedi il parco), gli spazi sportivi (maltrattati e dunque tenuti chiusi, magari aperti non si sa..), la gestione del centro socio culturale (una sicurezza tutta da declinare), il servizio di accoglienza nella scuola (costosa), attivazione mensa (esigenza pretenziosa), servizi educativi prescolari (richiesta snob o privata), musica e ICT, inglese (troppo avveniristiche), e così via.
Vorrei si riflettesse specificamente su di un dato che accomuna queste indicazioni, quello dell’ingresso laterale della scuola dell’infanzia e primaria, e facciamo solo un esempio.
Per carità. Ma per aprire quel cancello oramai serve un nuovo Concilio Vaticano.
Al già sconfortante problema della gestione dell’ingresso e uscita dalla scuola, si deve aggiungere l’incidente per poter aprire il cancello laterale?
Mentre urla e impreca al cielo, il buon senso con cui assicurare l’uscita dalla scuola e una difesa dei nostri bambini dagli autoveicoli (quest’anno anche più numerosi). Creando un’isola pedonale, che permetta un contatto diretto tra genitori e bambini in tutta sicurezza.
O se prendiamo il caso dell’Assicurazione annuale contro gli infortuni dei bambini … ma quante volte si favoriscono strane e indolenti processioni di tutti (dico tutti) i genitori presso lo sportello bancario, amministrativo, ass. sociale, etc. etc. mentre l’idea che si possa fare un accordo per un versamento unico liberando tempo e spazio ai servizi ed alle famiglie …. accordi, intese, incentivazioni, semplificazioni non esistono proprio.
Serve un ripensamento
Occorre rivedere più a fondo il parco di decisioni e cifre impegnate in tutte le iniziative che vedono coinvolti i bambini e i ragazzi in età scolare e prescolare, guardando a quanto e quale budget economico finanziario è in campo, rimodulare quantità e qualità. Avviare opere di lungo periodo e di breve. Aprire una bella discussione se si debba guardare alle opere materiali e immateriali, vedere come semplicemente normale e non straordinario, una amministrazione, possa guardare con gli occhi dei bambini, quanto dispone la nostra
comunità.
Reimpostare tutti gli strumenti normativi e contrattuali a disposizione, indirizzati a capire dove fare economie e dove la funzione organizzativa e di monitoraggio della efficacia dei servizi, deve accrescersi e estendersi.
Insomma predisporre un progetto straordinario di coesione rispetto alle fratture del decreto Gelmini, e rispetto alla disarticolazione delle attività del tempo libero.
Far capire che invece si sta lavorando, e predisponendo una sommessa serenità, per le famiglie; incentrando un’ attenzione nuova alla fuoriuscita intelligente dalla crisi economica e sociale, guardando la scuola, e al suo futuro con fiducia.
Gestire e non farsi gestire da un’ azione di riforma. Chiamare la scuola a porsi in cammino in una società complessa, approfondendo oltre alle nozioni di sempre anche il modo per apprendere ad apprendere, all’esterno oltre i cancelli.
Sapendo che non ha più al suo fianco le pur sommarie strutture conosciute come la parrocchia o la famiglia tradizionale, ancora non sottoposta all’analfabetismo funzionale.
Com’è oggi facilmente manipolabile, resa sempre più ebete da una società dell’informazione, e in balia del nulla, stravolta da un uso perverso dei media, che rende adulti i bambini e bambini tutti noi.
Guardando invece sempre di più alla funzione fondamentale che la scuola deve svolgere in un paese democratico, oltre ad educare al rispetto delle istituzioni. Favorire la partecipazione alla vita politica e sociale, formando persone consapevoli e responsabili.
Garantendo una mobilità sociale, che la scuola (degli anni 70 e 80) pareva aver assicurato per i
figli di operai, pastori, contadini etc..
Curando la nascita di una rete di attenzioni, predisposta per le dinamiche non solo dei soliti gruppi privilegiati, al contrario, a rendere diffuse, già dalla scuola elementare le basi socio-emotive e cognitive necessarie a tutti.
Diciamo che l’azione politico amministrativa su questi argomenti è stata distante, se non evanescente.
Non è stata tale insomma da apprestare una sana e lucida reazione ad un attacco alle fondamenta civili e culturali delle comunità, periferiche. Che implica invece all’opposto una fiducia, nell’identità e nella storia dei territori, che si mantengono con un attaccamento maggiore a luoghi e geografie fin dall’infanzia. Il cui compito cosi gravoso non può essere affidato soltanto alla cura dignitosa dei balli sardi, ma di più servono le condizioni strutturali di permanenza economica e sociale che permettano riflessioni mature ovviamente anche sul ballo sardo. Luogo culturale identitario profondo, ma non riducibile al bisogno complessivo
del mantenimento dell’identità culturale.
L’ente amministrativo ben aldilà dell’attribuzione normativa si deve caricare la responsabilità dell’esistenza stessa della scuola presso la comunità. Deve ripensare il suo ruolo, guardare nel nostro piccolo paese, al modo in cui, i genitori, stanno facendo uno sforzo enorme per motivare una generazione.
E’ stato scritto se vuoi uccidere una comunità chiudi la scuola. Per questo non basta guardare, ma comprendere che l’identità, oggi vive soprattutto nell’efficacia dell’azione educativa. Trasferire, oltre al bagaglio culturale del luogo, crescere bambini e ragazzi avezzi a tutte le trappole; capaci di acquisire quel progressivo possesso delle capacità di pensiero riflessivo e critico, di una indispensabile autonomia di giudizio. Più di tutto, salvaguardare ed acclarare la progettualità, di un percorso educativo comunitario decisamente gestito, attrezzarsi ed essere protagonisti, non farsi negoziatori di sconfitte.
Secondo noi, doveva essere la leva. L’amministrazione se ne doveva caricare il fardello, nella formalità e nell’informalità, ne doveva assumere la responsabilità amministrativa e gestionale, negli spazi nel frattempo apertisi.
Non soltanto quelli strettamente organizzativi, serve un responsabile, un assessore ed un ufficio, un progetto soprattutto, per dialogare con i docenti, i genitori, il dirigente, le associazioni, gli operatori.
Questo dovrebbe fare una gestione politica amministrativa, collocarla in un progetto educante. Senza mai scoprire a cose fatte, l’impotenza di fronte alle delibere dell’Assessore regionale ed alla distrazione della Direzione Didattica, o ai Regolamenti Ministeriali.
Semmai con tempestività apprestare le modifiche necessarie, le strategie affatto compensative. Arricchendo le proprie scelte di un metodo attivo, tanto meglio curando e facendosi protagonisti veri dell’allestimento di una trasformazione territoriale.
Non ci meraviglia, la situazione di Siamanna e Siapiccia, Usellus, con cui i genitori procedono alla rivolta, per iscrivere i propri figli altrove e decretando in maniera lungimirante, il no alle pluriclassi, ed il bisogno per i ragazzi, di avere una dimensione educativa allestita in tutta la sua completezza e affatto dimezzata.
Se non fossimo stati presenti in questi anni a Villaurbana, per allertare, far capire il valore con cui le famiglie, stanno ponendo la scuola al centro delle politiche locali, tutto si sarebbe realizzato nell’indifferenza dei più, con gli amministratori a stracciarsi le vesti.
Ora non potremmo proporre il bisogno di un coordinamento e della programmazione di un gruppo Interistituzionale e degli operatori, coordinati da un responsabile di progetto, per costruire un ufficio scolastico intracomunitario, che abbia costantemente il polso della situazione.
Porre una contestuale attenzione alle problematiche che emergono, pensando ad un
progetto sostitutivo dello smantellamento progressivo. Giungendo alla affermazione di un programma autocosciente della comunità o delle comunità dell’Arci Grighine, che si preoccupano di sè e soprattutto della didattica e dell’educazione dei loro figli. Far crescere lo sviluppo locale, attorno all’idea, di uno stile, di un costume, di una pratica educativa mite e relazionale di un territorio storico.
Poteva essere questa la preoccupazione della comunità (non dell’ amministrazione ma della comunità) che incontra le esigenze delle famiglie, ad investire sulla scuola, avendo fiducia soprattutto sulle risorse umane, sulle loro competenze, sulle loro abilità, sulle loro potenzialità.
Altro che premi alla natalità, servivano e servono servizi alla natalità e non scoraggiare le mamme che credono nella necessità di mandare i propri figli fin dalla tenera età, per più anni scolastici. Iscriverli fin dall’età prescolare dove essi si preparano meglio i percorsi individuali, alla vita soggettiva e professionale, dove il bambino e la sua personalità agiscono meglio, se riconosciute nelle sue competenze, da operatori capaci di gratificarla in ogni loro inclinazione, fin dai primi momenti della loro esistenza.
Soprattutto si doveva mostrare attenzione per questi genitori, che cercano nel tempo professionale e meno frustrante, uno spazio intimo e pubblico di riconoscimento lavorativo e sociale.
In cui anche la crisi, che detta bisogni insorgenti nell’economica familiare, può essere l’occasione per dare luce a progetti individuali di una vita piena e non sottratta ad una socialità riconosciuta e dignitosa.
Insomma ai tagli si poteva, e si doveva, apprestare un risposta con una migliore conduzione integrata, liberando economie e aspetti diversi di una gestione contabile ed amministrativa, delle strutture formative.
Proponendoci quali agenti del cambiamento, sicuramente abbiamo accresciuto il bisogno di autorevolezza e interessamento, per affidare sempre più alla responsabilità dell’ente locale, uno specifico servizio Scolastico del Comune, appositamente creato.
Con sensibilità e doveri e soprattutto oneri non solo finanziari.
Nei propositi di una comunità che educa, abbiamo cercato di farci interpreti, non soltanto partner del processo formativo, per questo intendiamo divenire protagonisti, di incontro con le famiglie evidenziando e raccogliendo le proposte, quelle più lungimiranti e che ormai guardano più avanti di questa politica locale.
Perché una proposta progettuale
Proporre un progetto che vogliamo sottoporre all’attenzione di tutti, ci pareva una riflessione scontata su di un Sistema Educativo Integrato a livello comunale e intercomunale, fondato su un accordo Educativo Territoriale tra Ente Locale, Scuola, Associazioni, Imprese e Agenzie educative del territorio.
Affinché si decida, un intervento ormai necessario per l’offerta integrata di servizi (scolastici, animazione, sport, lingue, ICT, musica, cultura ed assistenza) e le opportunità educative (laboratori espressivi, identitari e di attività sportive, innovativi, alimentari).
Si definisca un piano che attraverso le agenzie educative e di servizio presenti sul territorio, attribuisca e affidi la responsabilità ad un coordinamento locale o ad un Gruppo educativo di figure chiave.
Che abbia l’iniziativa di guardare alla promozione della armonia dei tempi della scuola e dei tempi di vita.
L’accordo intende, infatti, valorizzare al massimo non più o non soltanto l’autonomia scolastica (la dirigenza dell’istituto comprensivo è stata smantellata, ci serve porre nel diritto e nei fatti il suo rientro) in rapporto soprattutto al territorio.
Nel contempo realizzare un modello di istituzione scolastica partecipata, che, superando le distinzioni tra percorso curricolare ed extracurricolare integra nel “tempo scuola” ogni attività educativa locale, rivolta ai minori e che si cimenta nella ricerca e nella offerta di un servizio rapportato ai bisogni di ciascuno.
Che si proponga di guardare all’organizzare del tempo scolastico scelto dalla famiglia in base alle proprie necessità: non deve essere subito e non può essere svolto dalla corsa de “su giogu de su sedazzeddu” da una parte all’altra, spesso senza essere artefici dei tempi e delle didattiche, ma gestiti e abusati dalle didattiche (in un solo pomeriggio catechismo, ludoteca, danza).
Un tempo dunque meglio coordinato con tutti gli operatori che con i bambini hanno a che fare. Un tempo possibilmente calato sull’incontro tra la scuola e le attività integrative che i genitori debbono poter scegliere.
Il progetto vuole dare un forte sostegno alla genitorialità: i servizi (assistenza, mensa, animazione ludica, accoglienza, sportive, culturali, musicali, gite di istruzione, consulenza educativa e pedagogica) e propone il coordinamento mediante l’attivazione di un soggetto pensante, che abbia chiara una visione del contesto ove vive la famiglia odierna.
Che ponga in circolo attenzione, riflessione, ragionamento, ricerca; che nella comunità trova le ottime professionalità che solo in parte e nelle occasioni informali oggi è capace di far emergere.
Con una attenzione nuova che deve porre la famiglia al centro dello scenario, non semplicemente entità riproduttiva e affidataria, ma come il perno cruciale della progettazione educativa e didattica, dei bisogni che si aprono ai servizi che la comunità assicura.
Facilitata e sostenuta, consigliata nella scelta delle attività, avendo non banalmente tanti interlocutori, ma un referente organizzatore su cui la scuola stessa, si pone come alfabetizzatore cosciente di ciò che ai singoli bambini è necessario.
Questo credo che debba possedere un progetto comunitario, dei doveri educativi, naturalmente suffragati e riconosciuti anche all’interno di un percorso identitario, cosciente, culturalmente preparato. Dotato di umiltà, di modestia e soprattutto consapevole, e rispettoso, del materiale umano da qualificare.
Un accordo educativo dunque che finora è stato negato e che non ha costituito l’introduzione di un benchè minimo tavolo interistituzionale tra Scuola e altre realtà educanti, tra scuola e territorio.
Che dia ascolto ai genitori, che colga, lo scenario frammentario e indichi un quadro mutato e in profonda trasformazione, che nessuno è stato capace di cogliere, né dare valore alla acquisita consapevolezza di affidare a qualificate competenze i propri figli.
Un progetto deve guardare, non più assistere a iniziative estemporanee di ciascun operatore, porsi oltre le fughe solitarie, con cui spesso si scaricano fardelli pesantissimi.
Promuovere una politica, ed una articolazione di sostegni, di prevenzioni, di differenziate attività, di direzionati sviluppi per tutti i soggetti coinvolti.
Un progetto che non veda più un bosco fitto e senza uscita. Un progetto che coinvolge, ed orienta gli operatori. Nel riconoscimento e nell’incontro delle fasi critiche dell’età evolutiva, predisponga con loro gli interventi necessari.
Assicurando quella integrazione necessaria e quella comunicazione produttiva, che porterà ognuno a svolgere meglio il proprio ruolo e i propri compiti.
Il progetto deve dunque allargare il contesto di interazione proficua con il mondo adulto, anche delle comunità limitrofe; delle associazioni, degli enti e delle istituzioni. Portare e condurre più avanti scelte educative e formative, magari anche incontrando imprese consapevoli, con gli operatori culturali ed economici del territorio, che si richiamano tutti, ai bisogni professionali del futuro.
Facendo entrare proprio in questa modalità la consapevolezza di quanto sia strategico, crescere itinerari e concorsi educativi e partecipativi, finalizzati ad approfondire il rapporto tra scuola e impresa. Dare certezza della continuità, tra mondo della cultura e mondo del lavoro.
Amministrazioni coinvolte
Un accordo educativo come progetto di operatori chiave, dovrà coinvolgere direttamente diverse amministrazioni: dell’ormai smantellando istituto comprensivo, come l’amministrazione di Villaurbana, quella di Siammana e Siapiccia, la Provincia, oltre che la Regione.
Nel progetto che coinvolge i comuni dell’Arci Grighine, una comunità storica dai tratti socio demografici precisi, deve vedere non più compromessa la presenza di una istituzione fondamentale comunitaria, come la scuola, rifondare la relazione con il territorio, reagire e non girarsi dell’altra parte.
Un progetto con degli obiettivi
L’obiettivo principale è la realizzazione nell’ambito del territorio, dell’Accordo Educativo Integrato Territoriale che, partendo dal principio della unicità e preziosità di ogni bambino, impegni le Comunità a farlo divenire a fianco alle famiglie una donna/un uomo.
Una comunità intesa come l’insieme di tutte le agenzie educative, e non; che può trovare nelle due funzioni di coordinamento e integrazione la sua azione ed il sostegno di tutti, premessa fondamentale alla crescita di ogni persona.
Come facevano le comunità tradizionali, nei limiti del possibile, noi crediamo che debba farlo in termini moderni anche la comunità contemporanea. Lo deve diventare ex novo e ritrovare le ragioni della sua stessa esistenza, delle sue condizioni dignitose con cui deve guardare a tutti i suoi figli, fortunati e meno fortunati (come dice la Costituzione e come ci ha ricordato specie in questi ultimi giorni Napolitano).
Dunque potrà e dovrà decidere se vorrà chiamarsi educante, fondare la sua azione su di un Accordo Educativo che dia persistenza, cioè dia senso e valore unitario alla permanenza su questo territorio fin dalla crescita di un bambino. Non può essere una comunità che guarda passivamente al suo estinguersi, ma che reagisce con delle proposte e dei percorsi innovativi, si fa protagonista delle volontà delle varie agenzie, mettendole a fruttare assieme.
Facendo scaturire la propria esperienza formativa, dalla propria identità, dalla messa in rete di tutte le risorse che consentono la razionalizzazione e l’ottimizzazione, oltre che la presentabilità autorevole presso tutti gli enti istituzionali. Delineare, in tal modo, a livello sovralocale, una linea di politica minorile ispirata alla sussidiarietà, rivolta alla promozione del benessere di tutti e dico tutti i bambini, nella definizione delle specifiche esigenze, alla personalizzazione dei bisogni.
In particolare, il progetto dovrebbe perseguire i seguenti obiettivi:
1) promuovere la continuità e l’integrazione educativa tra le diverse esperienze formative e le molteplici agenzie che concorrono allo sviluppo culturale e sociale dei minori: come l’ente locale, la scuola, la famiglia, le imprese, le associazioni, utilizzando gli strumenti giuridici previsti dall’autonomia amministrativa;
2) promuovere il benessere e la qualità della vita dei minori, accrescendo le opportunità per tutti e soprattutto per i più deboli, con servizi adeguati e “coscienti” cioè aperti alle verifiche, alla efficacia dei risultati;
3) accrescere le conoscenze e l’integrazione e la diffusione delle competenze dei soggetti coinvolti nel processo educativo dei minori (genitori, insegnanti, operatori/educatori, associazioni), coinvolgendoli in una comunanza educativa territoriale;
4) introdurre innovazioni organizzative e didattiche nella scuola caratterizzate da flessibilità e aderenza ai bisogni reali dei bambini, attraverso la multimedialità, i laboratori, i progetti diretti, integrati con il territorio, i mestieri tradizionali, l’artigianato moderno;
5) realizzare al massimo grado, la crescita di percorsi formativi individualizzati, ma calibrati sulle esigenze di ciascuno, secondo la valutazione dei bisogni formativi, la formalizzazione di azioni in un piano educativo individuale;
6) sostenere la genitorialità e la famiglia con azioni significative di attenzione ai tempi ed agli spazi di relazione con il bambino, alle esigenze molteplici ed alle preoccupazioni che insorgono nella ricerca di un riconoscimento integrale della sua personalità.
7) misurare il rendimento scolastico, sportivo, comunitario, identitario, culturale, con la predisposizione di servizi immateriali ma anche materiali, che potrebbero liberarsi attivando una serie di servizi di supporto, in cui sono coinvolte associazioni, enti, istituzioni.
Conclusioni
Ci fermiamo qui, ma il progetto è decisamente più articolato e naturalmente và ulteriormente contestualizzato. Non abbiamo responsabilità amministrative, né politiche. Ne abbiamo pretese di sorta. Lo proponiamo alla riflessione di tutti, consapevoli della sua parzialità. Non intendiamo continuare ad essere considerati estranei, come quando qualcuno si piccava di fare e soprattutto ci imponeva di non essere disturbato. Adesso che tutti possiamo vedere gli effetti di certe azioni e fenomeni, crediamo che possano nascere motivazioni maggiori, per esercitare meglio il proprio ruolo, la responsabilità comunitaria, i doveri educativi.  Sebastiano Chighini

Il Ballo Sardo nella Scuola Primaria.

Progetti, iniziative Comments Off

I Bambini imprano e ballano il Ballo tradizionale di Villaurbana

Notevole importanza, fin dalla nascita dell’Associazione “Biddobrana”, hanno avuto i corsi di formazione.

Essendo essi, non mirati esclusivamente all’aspetto prettamente tecnico della preparazione alla danza, ma e sopratutto come strumento educativo/culturale per i giovani allievi che si avvicinano alle tradizioni popolari della nostra comunità.

Già da due anni, l’Associazione, ha posto in essere quelle condizioni essenziali per una stretta e fattiva collaborazione con l’istituto comprensivo al fine di tramandare ai più piccoli quella passione per la riscoperta degli usi e costumi del nostro paese. Una sorta di testimone che viene consegnato dai maestri agli allievi sotto forma di stimoli all’apprendimento autonomo attraverso l’emulazione dei più grandi, lasciando sempre libero sfogo all’espressività dei futuri ballerini.

“Competenze in cambio di esperienze: i giovani sanno navigare, gli anziani sanno dove andare – Le icone della memoria”

Iniziative Nazionali Comments Off
Dipartimento per la Programmazione
Direzione Generale per gli Studi e la Programmazione e per i Sistemi Informativi

Roma, 4 agosto 2008

AVVISO

Le icone  della memoria - Un bando per le scuole secondarie di secondo grado delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna, dei Comuni non capoluogo.

Il CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) ha pubblicato un avviso per la presentazione di progetti da parte delle scuole, nell’ambito dell’iniziativa denominata “Competenze in cambio di esperienze: i giovani sanno navigare, gli anziani sanno dove andare – Le icone della memoria”.
Le scuole beneficiarie dell’avviso sono le secondarie di secondo grado delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna, ubicate nei Comuni non capoluogo.
Di seguito, si descrivono alcune caratteristiche fondamentali dell’iniziativa.

1. Icone della memoria – Da dove nasce
Il progetto nasce dalla Delibera CIPE N°1/2006, che fissa l’obiettivo di ridurre il deficit di conoscenza informatica da parte degli anziani, favorendone l’alfabetizzazione e l’accesso alle nuove tecnologie
Per raggiungere l’obiettivo, il CNIPA ha scelto un partenariato strategico con scuole, anche con l’intento di “aprirle” al territorio, come peraltro previsto dal PON “Ambienti per l’Apprendimento”.

2. Icone della memoria – I destinatari del progetto
Il progetto ha scelto le scuole come attuatrici dell’obiettivo di “formare gli anziani”.
I ruoli sono i seguenti: gli studenti svolgono compiti di formazione all’utilizzo degli strumenti; gli anziani forniscono i contenuti (racconti, storie, esperienze, cronache, ecc.) da trattare digitalmente.
I risultati saranno utilizzabili sia per formare i giovani (contenuti digitali per l’apprendimento), che per promuovere il protagonismo degli anziani su internet.
Saranno finanziate 116 scuole, ciascuna delle quali si impegna a formare almeno 15 anziani.

3. Icone della memoria – L’entità del finanziamento
Il finanziamento complessivo determinato per l’attuazione del progetto è di 3 milioni di euro.
Il finanziamento per singola scuola (scelte tra quelle site in Comuni non capoluogo delle regioni ob. 1, quindi le più esposte al digital divide) sarà pari a circa 24.000 euro.
Un comitato strategico composto da rappresentanti CNIPA e da esperti di formazione e didattica monitorerà il progetto.

4. Icone della memoria – Un intervento per la “periferia”
Gli ambiti territoriali destinatari del progetto sono le Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna, con preferenza per i Comuni non capoluogo, dove si suppone possa essere più alto il digital divide e più vive le memorie da conservare.

5. Icone della memoria – Modalità di partecipazione da parte delle scuole
È stato pubblicato l’avviso di gara, sul sito internet del CNIPA (www.cnipa.gov.it), e tra pochi giorni sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale il comunicato.
La candidatura dovrà essere presentata compilando il formulario on-line che sarà reso disponibile dal CNIPA sul proprio sito internet. Entro 15 giorni dalla compilazione del formulario on-line, l’istituzione scolastica dovrà inviare copia della ricevuta (rilasciata dal sito) di avvenuta presentazione del progetto, firmata dal dirigente scolastico, a mezzo raccomandata A/R, indicando sulla busta “Iniziativa Icone della Memoria – secondaria di secondo grado”, al seguente indirizzo (fa fede il timbro postale):
CNIPA - Progetto “Icone della memoria”, Via Isonzo 21/b, 00198 – Roma.
I progetti devono essere presentati entro il 31 ottobre 2008.
Il termine per l’attuazione delle finalità dei progetti è previsto per il 30 giugno 2010.
E’ a disposizione delle scuole candidate un help desk via email attivo dal 1° settembre, all’indirizzo di posta elettronica iconedellamemoria@cnipa.it.
Le finalità del progetto sono state concertate con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e con il Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie.

La Scuola si racconta alla Casa del Pane

iniziative Comments Off

Spesso le fatiche scolastiche degli alunni e degli insegnanti restano confinate tra le mura degli edifici scolastici, per fortuna non è così a Villaurbana, infatti per il secondo anno consecutivo prosegue la proficua collaborazione tra Amministrazione Comunale e  l’Istituto Comprensivo Scolastico di Villaurbana che ha consentito ai  visitatori della Casa Museo del Pane di poter apprezzare l’accurato lavoro di ricerca realizzato dagli alunni  della scuola  primaria  (elementari),  concretizzatosi in una voluminosa sequenza fotografica e in diversi manufatti realizzati utilizzando le antiche tecniche tradizionali di Villaurbana.
A completamento dell’esposizione  delle ricerche effettuate tra la gente e le case di Villaurbana,  lunedi 18 Agosto sono stati proiettati i due filmati realizzati dai gruppi di lavoro, la tradizione del racconto orale è stato oggetto del primo filmato mentre il secondo filmato elaborato ha mostrato uno spaccato delle case, ancora presenti a Villaurbana, ricche di abbondanti tracce del nostro prezioso passato agro pastorale e ha mostrato alcune fasi dell’antica tecnica per la realizzazione dei mattoni crudi, direttamente effettuate dagli alunni sapientemente guidati dai “mastri” locali.
Una serata diversa che ha finalmente mostrato a tanti il lato curioso ed attraente delle ricerche scolastiche.

Sa Domu de Nannai

Progetti Comments Off

ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE
DI VILLAURBANA

SCUOLA PRIMARIA DI VILLAURBANA:
PROGETTO EXTRACURRICOLO “CULTURA SARDA”

Sa Domu de Nannai

La società e l’economia sarda sono da sempre basate su due attività produttive principali: l’agricoltura e la pastorizia che regolamentavano la vita domestica e sociale di ogni paese.

Questo progetto intitolato “ Cultura Sarda” intende condurre gli alunni che frequentano la classe quarta e la classe quinta della Scuola Primaria di Villaurbana al centro del dibattito sulla nostra storia e sulla salvaguardia del nostro territorio. valori troppo spesso ignorati e sottovalutati.

Attraverso un’indagine conoscitiva diretta “ESPLORANDO IL PAESE” si sono osservate le diverse tipologie abitative presenti in Villaurbana, le case dei contadini (affittuari, mezzadri o proprietari di piccoli appezzamenti di terreno ma che possedevano un giogo di buoi) risultano molto semplici e piccole, sono presenti sia i locali adibiti ad abitazione che a laboratorio domestico.

La cucina aveva un uso molteplice, in alcune di esse veniva fatta girare sa moba mossa da un asinello e nello stesso ambiente c’era anche il forno. Le stanze da letto spesso non erano sufficienti per tutta la famiglia, molti dei componenti dormivano sulle stuoie (sa stoia).

Gli animali da lavoro ( i boisi) in autunno e in inverno, periodo di molto lavoro nei campi, pernottavano in su stabi, costruito davanti alla casa. Questo modo di costruire la casa risultava molto utile sia per la praticità di poter accudire il bestiame, sia per la tranquillità del padrone di casa che aveva sempre paura dei ladri di bestiame.

Le case erano costruite in mattoni crudi (ladri). per lo più su un solo piano e quando esisteva il primo piano era molto basso, i due piani erano divisi da travi in legno (bigasa) in cui venivano fissate delle tavole che formavano su intabau. Il tetto (sa crabattura o crabettura) veniva costruito sempre su travi in legno (bigasa) in cui venivano fissati i listellusu (travicelli o correnti) e sui quali veniva costruita sa cannizzada (la cannicciata). su di essa venivano posate le tegole e quindi fissate col fango.

Le case dei proprietari terrieri (possedevano molti ettari di terreno e bestiame) invece erano soprattutto grandi anche nella parte abitata dalla famiglia. Grandi erano specialmente le cucine. di solito doppie o anche triple rispetto alle case degli affittuari e mezzadri, perché dovevano contenere anche la servitù (is srebidorisi; zaraccusu e zaraccasa). E grandi erano anche i laboratori domestici per il consumo: sa domu de sa moba, sa domu de su pa(n)i. sa domu de su forru con la sua cupola esterna intonacata con fango e paglia, su magasiu, quasi tutte le case dei proprietari terrieri erano costruite su due piani, il primo piano veniva adibito anche a dispensa o per conservare i cereali (grano. fave, ceci…).

Come è ovvio sono le case dei proprietari terrieri che per prime nel tempo mostrano innovazioni di provenienza “esterna”, fino a perdere il quadrilatero del grande cortile padronale per proiettarsi verso l’esterno a fil di strada, a perdere su stabi e ad assumere l’aspetto del palazzotto comodo e anche civettuolo in forme estranee alla tradizioni locali, come il ferro battuto ai balconi o il bugnato in facciata. Salvo però il portale (su potabi), che resta monumentale, ma (in certi casi) non è più accesso principale alla casa del padrone, bensì alla casa degli annessi.


Dopo aver analizzato e documentato le case “antiche” del nostro paese con riprese con la videocamera e scattato tante fotografie, siamo passati alla costruzione diretta dei mattoni crudi.

OCCORRENTE: TERRA ARGILLOSA COMPATTA, PAGLIA, ACQUA, GLI STAMPI (IS MOLLUSU).

PROCEDIMENTO ……ABBIAMO:

· SMINUZZATO LA PAGLIA;

· IMPASTATO LA TERRA CON L’AGGIUNTA Dl ACQUA FINO AD OTTENERE UN IMPASTO OMOGENEO E SEMILIQUIDO;

· AGGIUNTO LA PAGLIA (CHE FUNGE DA LEGANTE) E AMALGAMATO CON I PIEDI L’IMPASTO FINO A QUANDO LA PAGLIA E IL FANGO SI SONO PIENAMENTE INTEGRATI E L’IMPASTO E’ DIVENTATO COMPATTO;

· BAGNATO BENE SU MOLLU (LO STAMPO);

· PRESO L’IMPASTO E DISTRIBUITO UNIFORMEMENTE DENTRO LO STAMPO (SU MOLLU);

· BAGNATO BENE LE MANI PER RENDERE LISCIA LA SUPERFICIE DE SU LADRI;

· TOLTO SU MOLLU;

· LASCIATO ASCIUGARE SU LADRI PER PIU’ GIORNI, AVENDO CURA DI GIRARLO SPESSO IN MODO DA ESSICCARSI UNIFORMEMENTE;

ABBIAMO COSTRUITO PIU’ DI 700 LADRISI, DUE DEI NOSTRI GENITORI HANNO PREDISPOSTO UN PROGETTO PER COSTRUIRE UNA CASA CON SU LADRI, SEMPRE CON L’AIUTO DEI NOSTRI GENITORI E DEI NOSTRI NONNI ABBIAMO RICOSTRUITO “LA CASA CAMPIDANESE”.


RINGRAZIAMO PER LA FATTIVA COLLABORAZIONE I SIGNORI:

GIANNI PIREDDU, ROBERTO ATZENI, TERENZIO MURRONI, ANGELO ORRU’, GiANNI LAI, EUGENIO MURONI, CIRO CAMEDDA E L’INS. GIANFRANCO PAULESU CHE CON IL LORO IMPEGNO CI HANNO

PERMESSO DI REALIZZARE “LA CASA CAMPIDANESE”


Attraverso questa indagine siamo stati guidati ad una lettura più attenta del patrimonio storico culturale che Villaurbana ancora conserva. Abbiamo appreso che nel passato venivano utilizzate tecniche di costruzione che. potevano soddisfare le esigenze di quel periodo basate sopratutto sul lavoro nei campi e alla capacità sia degli uomini che delle donne di soddisfare i bisogni della famiglia grazie alla loro creatività e al loro ingegno.

Ringraziamo tutte le persone che gentilmente hanno collaborato con l’insegnante per farci scoprire tanti .segreti legati alla vita contadina di molti anni fa. Ci auguriamo che anche in un prossimo futuro ci sia data la possibilità di conoscere altri aspetti legati alle tradizioni del nostro paese per poterle apprezzare, salvaguardare e tramandare.

Un caloroso saluto a tutti.

Gli alunni delle classi quarta e quinta della Scuola Primaria di Villaurbana.

Ia u’ lampu!

Scrivono di noi No Comments

W la Scuola

Commentare a conclusione dell’anno scolastico, i lavori presentati da allievi e insegnanti della Scuola primaria dell’Istituto Comprensivo di Villaurbana non è facile. I saggi appassionati della ricerca sul nostro mondo tradizionale, apprestati su intrecci, impasti, modelli, hanno infatti interessato una pluralità di temi, quanto una varietà di interventi, affatto attesi.

Per la percezione, nel nostro presente comunitario, della sua cultura abitativa, artigianale, pedagogica, sociale, etc.. rappresentano un rapporto sullo stato delle cose e la condizione della nostra identità storico culturale. Basterebbe questo motivo per inviare loro il nostro riconoscimento, per questo (pur frettoloso) progetto didattico regionale.

Di fronte all’impegno delle tante persone, che l’hanno animato, alle fatiche di una annata difficile ed impietosa, per la scuola pubblica e locale in particolare, questi lavori suscitano e stimolano un apprezzamento autentico, per gli indirizzi proposti e per i risultati raggiunti.

Si tratta di una sontuosa occasione di riflessione offerta alla comunità, per guardare ancor più alle implicazioni dei suoi doveri e della sua azione educativa. Nel far propri e leggere in questi materiali i suggerimenti, le idee, che la fusione dei mattoni, il montaggio di immagini e musiche, le recite, propongono: apertamente assalgono tanti proponimenti, capaci di smuovere sentimenti e passioni.

Approfondire lo studio, sviscerare con gli occhi dei bambini il modello abitativo, educativo e socio culturale comunitario, vuol dire trasferire le pareti dell’aula e ricrearle fuori dalle mura scolastiche, e investigare saperi tangibili. Impicciarsi col mondo, chiedergli attenzione, incentrando la didattica su complesse procedure, guardando alla scuola impropria del mondo tradizionale, che va dai materiali di base fino alle finiture.

Significa incoraggiare concretamente aspetti centrali della sfera percettiva degli allievi. Prendere coscienza delle troppe distante generazionali. Iniziare a guardare i tanti passi perduti dalla comunità, metterli insieme in un non facile ragionamento, per allestire quella che può benissimo individuarsi come una occasione di riflessione per tutti.

Dunque limitarci ad esprimere conforto per le fatiche che mattone per mattone rivelano, agli occhi e sopratutto alle mani di allievi e insegnanti, non deve appagarci. In tempi nei quali ogni luogo va facendosi eguale, (comprese le rapine che ci accomunano a tante altre comunità), ritrovarci senza o perdere la nostra identità, espropriati dei materiali, fisionomie, coscienze, processi operativi, è una faccenda che contributi come questi, arginano, e che rilanciano offrendole all’esame di tutti.

Vedere la esposizione dei materiali relativi alle nostre tradizioni culturali, paesaggistiche, coglierli attraverso una sensibilità capace di distogliere, lo sguardo panoramico e passare alla osservazione sensibile del dettaglio. Significa educare, qualificare insieme considerazioni e codificare i sentimenti di chi ha vissuto, riflettuto, sui cambiamenti, le trasformazioni, le incoerenze arrecate al patrimonio storico, edilizio e architettonico, antropologico.

Sparigliare il puzzle smontare l’evidenza, restituire complessità alla vita stessa.

Seguirne l’itinerario, percorrerlo assieme agli allievi, riuscendo a raggiungere una proposta analitica suggestiva, per le tante indicazioni emerse, diremo si presenta seducente e progettuale.

Intanto perché nel Deserto dei Tartari, le armate incombenti dei mongoli, per una volta, invece che essere attese dovranno attendere. Cogliere il frutto del confronto delle nostre genti con la scarsità delle risorse. Coltivare, assieme agli allievi la freschezza dell’apprendimento di cose originalissime, seminando nel loro apprendimento, briciole di sensibilità umana, per quando saranno adulti, non è soltanto una prova di amor proprio, né del proprio lavoro. Fa sì che sul nostro orizzonte, si sospenda, ciò che lassismo, distrazione, arroganza, cercheranno di spegnere nei nostri bambini.

Affidare loro la memoria comunitaria, disegnare un processo meno frammentario del loro apprendimento, non incontra solo la nostra simpatia. Evidenzia la necessita di un lavoro sistematico e approfondito sui sedimenti storico culturali che ancora affiorano nella nostra piccola comunità, prima che la mano, impietosa della modernità, con la sua superficialità li sovrasti in nome del nuovo, rimpiangendoli per sempre.

Nei modelli ricostruiti da maestri e allievi, non c’è nostalgia; alla integrazione dei materiali, immagini e musica, ostano non poco le tante rimozioni e le molte violenze. Le note di commento, non si trovano facilmente, per ciò che blocchetti prefabbricati e cemento armato, e altre deturpazioni, procurino al nostro corpo, alla nostra coscienza, spesso senza accorgerci. Solo la gravità di un pianoforte, legittimamente riesce ad esprimere il distacco, tra questa realtà e la consapevolezza di sé.

Quando l’identità, chiede per chi suona la campana, impone al tempo, l’urgenza e la bontà di queste iniziative. Indica come in questo progetto, fare scuola, è sporcarsi le mani, contagiarsi l’umorismo, impiastricciarsi, crescendo limpidamente. La mente spesso rigida, deve ricorrere all’informalità e le cose lì non hanno prezzo, ritorna la mutualità, s’aggiudu torrau …

Il divertimento costruisce sotto gli occhi dei nonni e delle nonne, opere che fanno bene al cuore. Esercizi di apprendimento che allungano la vita non solo a Ziu Terenziu, ma anche al fervore e alla mitezza di tutti quelli che hanno collaborato.

Vien da dire cos’è tutto ciò, se non il compiersi commovente dei doveri della scuola, che arricchisce la speranza e la fiducia nel futuro? In quegli edifici che si conservano, per anni. In quelle voci che ricordano, filastrocche, ninne nanne. In quegli occhi che si sciolgono in dolcezze innarrabili, sta il bianco e nero straziante del nostro presente.

Quando la scuola coglie questa integrità, interrogando se stessa, il suo ruolo di fronte ai materiali storico culturali e umani che ha intorno, svolge una funzione non supplente, ma sostitutiva, dell’opera delle altre “istituzioni”.

Eppure dovrebbe essere evidente quando essa si ingegna, cosa desta: l’allegria nei volti, l’armonia nei corpi, la resistenza del linguaggio, l’energia dell’ironia. Se non vengono scomposti, divisi, in compartimenti, essi ci illustrano la forza delle generazioni, che si fa gioco delle rigide mansioni, dei bassi interessi e dei nostri saperi settoriali.

Quando la scuola, parla della tutela e della conservazione, dell’architettura tradizionale, delle pratiche e dei saperi, della storia, della cultura locale investe la responsabilità di tutti. Riesce a mettere in gioco non solo se stessa. Libera, fa prorompere, il bisogno di una attenzione concreta ai suoi impegni ed accresce il valore della sua funzione.

E’ vitale, allora prestare attenzione alle sue risorse umane e didattiche, ai suoi mezzi, alla sua organizzazione, al capitale sociale che nel suo insieme esprime, verso una fase anagrafica e pedagogica strategica per il futuro della comunità.

Se questo drappello di maestri e personale scolastico villaurbanesi (e non) continuerà questi lavori, essi potranno scuotere le incrostazioni della comunità. Allertando l’urgenza di un processo di documentazione della condizione dei saperi esperti espressi dalla tradizione. Oltre i suoi doveri istituzionali, la responsabilità sociale di tutta la comunità, può nutrirsene e potrà riprendere ad educare, come e quanto faceva (spontaneamente ma mirabilmente) il mondo tradizionale. In tempi cambiati e certo più disarticolati, a piedi scalzi come al solito, vediamo pieni di fiducia i passi incerti di questa scuola incamminarsi con la speranza, verso un nuovo e più attento modello educativo.

Se non si farà irretire da facili scorciatoie, siamo certi libererà finalmente uno Ia u’ lampu!!! Corale e comunitario, in cui finalmente troverà lo stupore e l’adesione di tutti.

sebastiano