
La difesa della povera gente
Data 14/1/2008 12:14:04 | Categoria: Punto critico
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Da un sito dedicato a Giorgio La Pira leggo e riporto questo interessante passo dedicato alla condizione dei disoccupati e dei poveri:
La difesa della povera gente
(�) Forse che le parole di Ges� -�I poveri li avrete sempre con voi�- legittimano in qualche modo una struttura sociale -economica, finanziaria, politica- che ha tollerato nel passato e tollera nel presente, in dimensioni ancora cos� vaste, il cancro della disoccupazione e della miseria? No: i poveri non sono una Eucaristia sociale (il carissimo e rimpianto Don Moresco non poteva che dire questo: che un cristiano deve avere tanto desiderio di eliminare la disoccupazione e la miseria quanto ne ha -o dovrebbe averne- di ricevere Cristo nella sua anima}: essi sono il documento vivente, doloroso, di una iniquit� nella quale si intesse l'organismo sociale che li genera: sono il segno inequivocabile di uno squilibrio tremendo -il pi� grave fra gli squilibri umani dopo quello del peccato- insito nelle strutture del sistema economico e sociale del paese che li tollera: essi sono la testimonianza della ulteriore sofferenza che gli uomini (i credenti) infliggono a Cristo medesimo (�lo avete fatto a me�): essi sono l'eco sempre viva e sempre preoccupante di quelle parole cos� dure che l'apostolo S. Giacomo ha pronunziato (mi si perdoni la citazione, non � rivolta a nessuno, ma � monito inequivocabile per tutti): �Ebbene adesso, o ricchi, piangete, urlate a motivo delle miserie che verranno sopra di voi: le vostre ricchezze si sono imputridite e le vostre vestimenta sono state rose dalle tignole. L'oro e l'argento vostro � arrugginito e la loro ruggine sar� una testimonianza contro di voi, e quasi fuoco divorer� le vostre carni�. E i �ricchi� non sono soltanto i �privati ricchi�, sono anche, e soprattutto, coloro che possiedono le leve dell'economia, della finanza e della politica: coloro, cio�, che sono stati posti a capo della famiglia, dispensatori fedeli e prudenti, destinati a un solo scopo: dare a tutti il lavoro ed il cibo al tempo opportuno. (�) Ecco, dunque, l'assioma che finalizza la vita cristiana (e, quindi, la vita politica di un cristiano): quando Cristo mi giudicher� io so di certo che Egli mi far� questa domanda unica (nella quale tutte le altre sono conglobate): -Come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato? Cosa hai fatto per sradicare dalla societ� nella quale ti ho posto come regolatore e dispensatore del bene comune la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne � la causa fondamentale? N� potr� addurre, a scusa della mia inazione o della mia inefficace azione, le � ragioni scientifiche� del sistema economico fondato su un gruppo di pretese � leggi � (inutile qui elencare le sette � leggi � dello Stuart MilI), inviolabili -si dice!- come le leggi vere, quelle della natura fisica. Non potr� dire: -Signore, non sono intervenuto per non turbare il libero giuoco delle forze di cui consta il sistema economico; per non violare la norma �ortodossa� che regola la circolazione monetaria; ho lasciato nella fame alcuni milioni di persone per non diminuire il pane a 30 altri milioni di persone; ho dovuto �temporeggiare� perch� certe regole di prudenza monetaria (cio� della �mia� prudenza monetaria) mi impedivano di rispondere organicamente e rapidamente alla domanda dolorosa di lavoro e di pane che mi veniva con tanta urgenza da tante labbra (petierunt panem et non erat qui frangeret eis, dice Isaia). No: non posso addurre a mia giustificazione queste risposte: il fatto resta: �ebbi fame e non mi desti da mangiare �. Perch�, fra l'altro, se adducessi queste scuse io imputerei al Redentore una cosa grave: che, cio�, Egli mi abbia imposto un fine da perseguire sapendo che non avrei trovato i mezzi per perseguirlo. E se Egli mi accusasse, invece, di pigrizia mentale? E se anche in quel giorno �unico� mi venisse fatto cenno di altre tecniche economiche e finanziarie, di altri strumenti politici, a me noti mediante l'uso dei quali si sarebbe, forse, potuto dare risposta positiva a tante domande angosciose? La premessa cristiana impegna nel fine ed impegna anche nella ricerca sempre viva dei mezzi proporzionati a tale fine: questi mezzi devono esistere, esistono, se ad essi � legato un fine cos� essenziale per l'uomo: si tratta di ricercarli con amore appassionato, con mente sempre aperta ad ogni spiraglio di luce che permetta, in qualche modo, di intravederli. Keynesiani, non keynesiani? I nomi non contano, contano le cose: credere che sia possibile una tecnica risolutiva (anche se con prudenza) del massimo problema sociale (disoccupazione e miseria) o essere scettici intorno alla possibilit� di essa ed alla efficacia risolutiva di essa: questo � il dilemma. La radice del contrasto che questa polemica cos� viva ha messo in luce � tutta qui: � un contrasto di fondo; rivela due concezioni diverse delle ripercussioni sociali del cristianesimo, due modi diversi di concepire la finalit� dell'economia, della finanza e della politica. Non � un dissenso di dettaglio, non si pu� dire che, in fine, le due parti sono d'accordo: no, non sono d'accordo, perch� il loro disaccordo tocca le idee di base e di orientamento. (...) La disoccupazione � un consumo senza corrispettivo di produzione: �, perci�, uno sperpero di beni e di forze produttive. La conseguenza � evidente: un sistema economico che sia affetto da questo male � come un organismo affetto dal cancro: porta in s� un germe che lo corrode. E la ragione � chiara: la disoccupazione, infatti, � causa di un lucro cessante e di un danno emergente: il primo, perch� essa significa produzione mancata (2 milioni di disoccupati stabili significano in Italia pi� di 600 miliardi annui di produzione mancata); il secondo, perch� questi disoccupati devono pur vivere, e, quindi, consumare (non possono essere eliminati!): ora questo �consumare� importa necessariamente in Italia una spesa che va dai 100 ai 150 miliardi annui, per non tenere conto che della pura sussistenza dei due milioni disoccupati e non dei familiari. Questa premessa economica, perci�, ne include in s� una finanziaria che pu� essere cos� formulata: la disoccupazione di massa provoca una circolazione monetaria senza corrispettivo di produzione ed �, perci�, quando si prolunga, causa di inflazione. (� questo punto che va meditato). Se questa premessa economica � vera, come � vera, ne deriva una evidente necessit� terapeutica: bisogna estirpare questo cancro roditore (senza dire, per�, degli effetti sociali dissolvitori che esso necessariamente produce) se si vuole dare sanit�, stabilit�, produttivit�, al sistema economico e finanziario. Terapia causale, di fondo, non sintomatica ed episodica: cura dell'intiero sistema, nelle sue articolazioni essenziali e non cure piccole e dispersive (sussidi, lavori pubblici occasionali) che non producono nessun effetto sostanziale per la restaurazione intrinseca dell'organismo malato. (�) Lo sradicamento della disoccupazione e della miseria -e, quindi, il risanamento del sistema economico e finanziario- non pu� essere operato organicamente che dallo Stato e costituisce il compito nuovo, ed in certo modo fondamentale, dello Stato moderno. Questa premessa �, sotto certi aspetti, quella che d� concretezza, possibilit� di attuazione, a tutte le altre: sta alle altre come sta il mezzo al fine: perch� la premessa religiosa, quella metafisica, quella storica e quella economica diventano operanti, nella societ� moderna e, perci�, si traducono nella realt� sociale solo mediante l'applicazione di questa essenziale premessa politica. Inutile qui citare di nuovo Beveridge e tutti gli scrittori del pieno impiego. Non posso non richiamare tuttavia il rapporto dell'ONU di Clark, Smithies, Kaldor, Uri, Walker, circa le misure nazionali ed internazionali atte a determinare ed a mantenere il pieno impiego; uno studio chiaro, meditato, ben costruito che va qui ricordato � quello di R. S. Savers, �L'instabilit� dell'economia americana �, in Moneta e Credito, 1949, n. 7, 269 sgg.: in esso � disegnato a chiare linee il meccanismo economico e finanziario che lo Stato americano deve muovere per mantenere la stabilit� del sistema economico e finanziario, interno ed internazionale: stabilit�, � evidente, che ha come condizione -almeno al limite -il pieno impiego delle risorse produttive in genere e della mano d'opera in ispecie. Mi riservo, in altro studio, di mostrare com~equesta premessa politica abbia fondamento nella architettonica del bene comune, cos� magistralmente disegnata da San Tommaso 7. E si capisce: la disoccupazione massiccia e permanente non � un �episodio� della vita economica: gli studi e le ricerche statistiche ne hanno ormai mostrato le cause e la connessione con l'intiero sistema economico e finanziario: e come pu� il sistema economico essere stabilizzato, a dati livelli di produzione e di occupazione, se lo Stato -il solo capace di far questo -non lo voglia e, se necessario, non ne assume organicamente -mediante la spesa � compensatrice � -la � cura� in ossequio alla sua funzione integratrice? � proprio il caso di richiamare la funzione che in diritto romano ha il diritto pretorio rispetto al diritto civile: quod praetores introduxerunt juris civilis corrigendi gratia, vel adiuvandi gratia, vel supplendi gratia. (D. 1, 2, 7). Il Padre HERING o. P. mostra in un recente articolo (Charit� d'hier, justice d'aujourd'hui) come lo Stato contemporaneo vada necessariamente assumendo compiti nuovi che erano prima affidati alla carit� privata (tutto il vasto campo dell'assistenza sociale ed ora, organicamente, quello della disoccupazione). Ma la parola Stato non deve spaventare: � suscettiva di vaste analisi: non significa necessariamente n� la burocrazia imbelle, n� la distruzione di ogni vita personale, propulsiva: pu� e deve, invece, significare l'intervento organico, rapido, stimolativo integratore, dell'iniziativa umana! � lo stato nuovo, con lettera maiuscola se volete: uno stato proporzionato alla velocit� attuale, sempre in crescita dell'azione umana: lo Stato fatto davvero per la persona umana: si sa, c'� da cambiare parecchio nell'attuale arteriosclerotica struttura statale. (�) Davanti a questo quadro generale della situazione economica (e sociale) italiana, la domanda � evidente: pu� durare? E la risposta � pure evidente: non pu� durare. � inutile argomentare, distinguere, mostrare che una parte del sistema � sano e rigoglioso, e che la lira � salda e cos� via: il sistema economico e finanziario � indivisibile, la diagnosi � quella che � ed il giudizio intorno al suo prolungarsi non pu� essere che questo: non pu� e non deve durare pi� oltre. Qui non si tratta di essere keynesiani e non-keynesiani: sono le cose, caso mai, keynesiane: cio� sono le cose che esigono non una �contemplazione� del sistema economico e dei suoi �fenomeni di automatico assestamento� -automatismo smentito da un secolo di storia economica- ma un rapido, decisivo intervento terapeutico (e, se fosse necessario, anche chirurgico). Qualunque medico attento, responsabile, dice: il sistema � ancora fondamentalmente sano, le parti malate devono, per�, essere prontamente sanate se non si vuole che l'infezione si comunichi a tutto l'organismo: non bisogna tardare pi� oltre. Se questo significa fare del keynesismo, sia pure, ne sia lode a Keynes: il fatto resta quale � (contra factum non valet argumentum). Ma la diagnosi va pi� oltre: la sanit� di un sistema economico si misura mediante il livello produttivo e quello corrispondente del reddito complessivo (ed individuale); orbene, la disoccupazione ha un costo di 600 miliardi annui di produzione mancata (calcolo di Zellerbach) , cio� il 10% della produzione complessiva e del reddito complessivo (il reddito a testa nel 1949 -dice la relazione sulla situazione economica del paese presentata dal Ministro del Tesoro a pago 10- � ancora inferiore di circa il 10% a quello prebellico): essa importa, inoltre -complessivamente, cio� calcolate anche le persone a carico- una spesa improduttiva che si pu� calcolare in 250-300 miliardi all'anno (i disoccupati devono pur vivere e, quindi, spendere). Ecco la �situazione�. possiamo stringerci nelle spalle e dire: che cosa posso farci? Bisogna, invece, dire: oltre il gi� fatto, qualcosa di serio, di organico, di pronto, va ulteriormente fatto, perch� altrimenti �le cose si faranno da s� e non sar� certo per il meglio. Merita qui citare Vico: le cose fuori del loro stato di natura n� vi si adagiano n� vi durano. Che cosa fare? � chiaro: � stato anche da altri limpidamente detto nel corso di questa polemica: elevare la produzione ed il consumo (interno ed estero) sino al livello del pieno impiego (o, almeno, della massima occupazione possibile) delle risorse produttive: cio� occupare almeno gran parte dei disoccupati
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