
Un Progetto scientifico per il Museo del Pane.
Data 8/1/2008 2:00:00 | Categoria: Punto critico
| Da Sebastiano Chighini ricevo e allego volentieri un intervento relativo all'itinerario scelto per l'allestimento del museo. Il file � in formato pdf. Qui sotto il testo completo dell'intervento. La nostra idea del MUSEO DEL PANE. In questi ultimi anni, diverse volte, abbiamo discusso su quali idee dovesse contenere l�allestimento del museo del pane. Quali caratteristiche dovesse assumere e soprattutto quale significato progettuale o missione esso potesse coltivare. Secondo una serie di obiettivi sufficientemente definiti che il museo de Su pani fattu in domu doveva porsi. La risposta appare aperta malgrado tanto sia stato il tempo trascorso dalla sua annunciata operativit�, prima che su altre questioni, soprattutto intorno alla esatta questione filologica documentaria sul quale il suo progetto scientifico si doveva cimentare. Posto che la proposta del percorso previsto dall�itinerario etnografico pensato da Nando Cossu, o quello abbozzato da Bimbia Fresu nel Progetto di restauro fossero ormai desueti non certo per il merito n� per il contenuto, ma per le troppe cose intercorse nel frattempo. Percorsi spesso riproposti, svuotati di originalit�, data la maniera imitativa sviluppata da pi� di un museo di questo genere. Insieme alle tante proposte espositive, esse rivelavano, descrivevano la pluralit� dei conseguimenti e dei risvolti delle mostre temporanee, poi successivamente evidenziati in questi anni. In cui prendeva sempre pi� corpo una assenza, che abbiamo visto maturare e in fondo rivelarsi: la mancanza di un progetto scientifico che accompagnasse l�istituzione permanente del Museo. Avevamo fiducia che queste esperienze facessero maturare e facessero giungere a traguardi accettabili, sul piano del rigore e della scrupolosit� ad un Progetto. Contavamo si partisse da queste, come d�obbligo per la definizione di un piano con cui, un itinerario equilibrato verso la individuazione della missione (la mission) del museo, fosse l�esito assoluto della molteplicit� di contributi.
Un progetto per il museo Prima di essere pianificato nel suo itinerario di allestimento si sarebbe dovuta esplicitare una idea di museo che doveva svolgere principi, prassi; nell�originalit� di contenuti:, fruibilit�, obiettivi, organizzazione, comunicazione; secondo un piano che lo renda un opera aperta e dal carattere affatto istituzionale. Affermando un percorso, che facesse emergere come in tutti i progetti scientifici che si rispettino, ci� che il museo oggi rappresenta, un luogo di comunicazione, di ricerca scientifica e di riflessione. Secondo un insieme di unit� espositive articolate in percorsi concettuali, che dovrebbero avere un progetto chiaro e definito. Sono solo alcune idee che dovevano avere non solo un sostegno ma anche una sede scientifica trasparente, magari in un comitato di garanti, in cui prendeva vita lo sviluppo di un progetto culturale comunitario, connesso all�allestimento del Museo del pane. Soprattutto la collaborazione di persone con competenze e formazione differenti, doveva rappresentare il luogo di confluenza e di sintesi di una cultura scientifica e umanistica, ma anche uno spazio di riflessione democratica e di dibattito, di ricerca, di servizio sulle tematiche attuali che coinvolgono il nostro essere che si riflette nel pane. Per far divenire il Museo uno strumento non solo culturale, ma anche sociale.
L�allestimento del �MUSEO DEL PANE� Vedendo per� il BANDO concorso di idee per l�allestimento della casa museale del comune di Villaurbana �Museo del pane� siamo trasecolati. Allo stupore oramai non c�� misura, ci immaginavamo uno scatto d�orgoglio, il tempo delle parole lo ritenevamo concluso. Pensavamo cio� che si andasse all�annuncio di una proposta progettuale, in cui fosse sottesa una idea qualificata del ruolo del Museo, provvista soprattutto delle forme opportune di coinvolgimento della comunit�. Che prevedesse un itinerario verso una apertura condivisa e che interpretasse le molte funzionalit� cui deve rispondere il museo, secondo una oculata e sensata gestione per i locali della casa Lai ma anche oltre la sua unicit� storico architettonica. Sensata significa riflettuta e soprattutto progettata come una azione con cui fare partecipe la comunit� di panificatrici, operatori della filiera, appassionati e studiosi, visitatori, ma anche degli amici di Villaurbana che stanno fuori, esperti disponibili a spendere qualche intervento riflessivo in merito. Capace di narrare il profondo di ci� che ci rappresenta, certo l�aspetto storico urbanistico del pane, ma soprattutto il profondissimo legame territoriale, per costruire la conoscenza e il senso comune del nostro spazio di vita culturale. Ricorrendo ai linguaggi provenienti dalla pluralit� di professionalit�, provviste di pi� conoscenze specialistiche, come gli storici dell�arte, l�esperto di beni ecclesiastici, degli archeologi, degli antropologi, degli etnografi, degli archivisti, maestri e soprattutto da quelle professionalit� modernissime esperte in sistemi informativi. Capaci di cogliere il valore che gli oggetti indagati rivestono nei contesti di appartenenza. Pi� di tutto per� serve una visione polivalente e interdisciplinare del processo di allestimento, capace di intercettare i bisogni informativi di ampio spettro, presenti sulla scena, del dibattito museografico. L�assenza di quelle competenze e di quegli approcci transdisciplinari, non evitano la trappola dell�etnocentrismo che si rivela nello sguardo �occidentale�, con cui producendo noi l�immagine speculare dell�altro, che qualcuno pensa ancora di costruire, compresa l�antropologia, da cui non � esente. Ci� secondo noi non poteva che accadere, di fronte a tutti, all�attenzione di tutti, mentre temiamo invece sia gi� accaduto proponendo una visione ormai desueta del Museo, cio� di una istituzione chiusa, delegata alla raccolta, custodia, ordinamento, esposizione di oggetti architettati e salvati alla distruzione e presentati freddamente (magari anche con una veste modernizzante o tecnologica) al consumo dei visitatori.
Perch� evitare la partecipazione ? Credevamo fosse necessaria una approfondita discussione, perch� sappiamo bene che non basta fare una critica delle rappresentazioni tradizionali, esposte da decine se non centinaia di musei etnografici della Sardegna che contemplano tanti identici percorsi panificatori. Occorreva e occorre capire perch� essi si mostrino oggi, almeno nella gran parte, inadeguati. Quindi che fosse occasione provata di come � cambiata la domanda di immagini e del discorso museale e perch� un museo deve sottendere una idea scientifica che deve accompagnare il suo allestimento. In grado di comprendere il profondo mutamento che sta avvenendo negli anni della globalizzazione con cui il nostro rapporto con lo spazio, cos� come con il tempo, che il movimento museografico in questi anni invece � riuscita a cogliere. Avendo attenzione per i luoghi, non semplicemente architettonici o visivi, per trovare la chiave, per riguardarli, con occhi diversi; avendo rispetto, avendo riguardo per loro, dilatando lo sguardo, scorgendo connessioni nuove, trasformando il rapporto cognitivo e affettivo con essi. Convinti come siamo che �guardare i luoghi significa averne cura, riguardo, ricostruire, attraverso la pietas, i beni pubblici, quei beni che appartengono a tutti e che sono insieme veicolo di identit�, solidariet� e sviluppo.� In questo credevamo. Convinti si partisse, con un percorso in cui la comunit� fosse chiamata a diverso titolo ad intervenire ed esprimere quale idea condivisa dovesse rappresentare il suo museo. Idee non veicolate o peggio vincolate, ma adeguatamente rappresentative di ci� che la storia della comunit�, ha detto e sta dicendo in questi anni, sul pane e sulla panificazione in particolare, rifunzionalizzando sotto questa luce la sua veste identitaria.
Cosa � accaduto in questi anni ? A pi� riprese, si sono succeduti filoni di indagine e di discussione, che si proponevano di riflettere documentando nel profondo l�identit� panificatoria, che prendesse corpo, cio� avesse consapevolezza del processo di autoidentificazione che a pi� voci e a pi� ruoli, in questi anni ha avuto, lo svolgersi della ricerca sul Pane fattu in domu. Da quella linguistica e tipologica dei pani locali, a quella comparativa delle fogge, alla complessa etnoiatria vegetale, alla centralit� della pratica femminile, all�esigenza del riconoscimento normativo, alla valorizzazione del complesso sistema antropologico, agli approfondimenti microbiologici ed alimentari, etc. . Non per pregiudizievoli ambizioni, ma soprattutto perch� � divenuta la sede riflessiva di diversi contributi e soprattutto perch� costituisse l�itinerario �normale� con cui una comunit� si riprendeva la molteplicit� dei significati che si racchiudono nel suo pane, inteso come esistenza ma anche come rappresentazione della nuova coscienza culturale. Il pressapocchismo � il nemico, quello dal quale ci si deve liberare, come comunit�. Recuperando la lucidit� delle occasioni migliori, che forse possiamo trovare solo nel momento in cui la civilt� contadina ha cantato il suo orgoglio. Lo dobbiamo affinch� si trovi espresso nel museo, il tramite attivo di conoscenza e di valorizzazione del territorio, cio� della dimensione spazio temporale della nostra identit�, in relazione con il mondo. Che non si racchiude in una riproduzione o imitazione asettica della tradizione, per giunta affidata ad un solo Tutore-architetto. Ma nell�intendere la tradizione come un vera struttura complessa e molteplice, permeabile e suscettibile di diverse interpretazioni, espressa dalla laboriosit� che hanno nel tempo intessuto le sue genti con l�ambiente che le circonda e con le altre tradizioni. In cui a partire dalla biografia dei suoi locali, la loro storia, non solo della famiglia padronale ma anche quella dei servi, dei collaboratori, dello sguardo dei suoi abitatori, poteva dirci qualcosa di pi� di una parte del centro storico prestato al nuovo museo. Secondo un progetto di rivelazione identitaria che da una casa privata, colta ancora come provvista di vincoli �imposti dalle preesistenze�, potesse far discendere la definizione di una nuova identit� comunitaria. In cui la memoria non semplicemente espositiva prendesse corpo, ma trovasse il senso del riconoscimento della comunit�. Affidando dunque ad un percorso auto-identificativo la sostituzione della cesura ancora aperta tra la casa Lai e la comunit�. Perch� non � ancora chiaro il processo con cui una casa padronale diviene comunitaria. Non basta, l�acquisto e il restauro dei locali, tanto meno il suo semplice adattamento funzionale alle iniziative culturali, men che meno la omissione a documentare questo rapporto. Serve invece una capacit� di definire una esatta documentazione storica e culturale di questo edificio. Su cui una memoria lunga, coerente, rappresenti le tante caratteristiche, che in essa e in tante altre case, si racchiudono. Lontano dal percorso con cui un presente �della modernit� liquida� oramai intende erodere la memoria, riducendo anche i musei a dei non luoghi, di una societ� che impone e determina valori solo sulla base dell�interesse del denaro. Che �ha bisogno <Supponevamo dunque in reazione a questa idea complessa del presente, scaturisse una azione elaborata, sufficientemente discussa e soprattutto strutturata secondo principi culturali, informati alla partecipazione comunitaria, capace di costruire un rapporto con la collettivit� ma anche con i singoli, malgrado il tempo trascorso da un inizio ormai datato, secondo un piano adeguatamente comunicato capace liberare originalissimi interventi.
Il museo della comunit� Aldil� del contingente di questa o quest�altra amministrazione, ma soprattutto in sintonia con la pluralit� di voci esperte, di studiosi che su questi argomenti ormai esprimono qualificatissime idee, che sistemi museali davvero qualificati in Europa e soprattutto in Italia stanno conducendo. Dalle quali emerge come il museo ha bisogno di socialit�, venga vissuto, appartenga a quel processo strabico ma sufficientemente allargato, con cui si deve guardare alla sua vita, per farcene cogliere aspetti cruciali e dunque evitare errori e imprudenze macroscopiche. Che apra tutti i giorni e non solo la domenica. Cio� di un museo che trova la sua autorevolezza nella condivisione duratura, di una sua proposta scientifica, offrendo una serie diversificata e articolata di possibilit� di conoscenza, di attivit� da svolgere, di luoghi valorizzabili, suscitando l�interesse attivo dell�utenza, come uno specchio dell�anima panificatoria. Qualcuno ha parlato di un mosaico, tante tessere ognuna diversa dalle altre, che possono essere unite ed organizzate in un disegno maturo, che permettono a chi guarda a chi vive l�esperienza del museo come una articolazione complessa della realt� presentata. Cio� di una offerta espositiva proposta secondo la proiezione del concetto di �conoscenza�, categoria che va al di l� di quella specificamente scientifica, tecnologica, e delle applicazioni economiche di queste. Che invece rimanda ai tanti temi delle culture locali che per la loro conformazione culturale, storica, economica, organizzativa, riesce ad allargare lo spettro delle variabili e delle dimensioni messe in conto nella loro crescita, nel loro sviluppo. Mentre non compare uno straccio di progetto scientifico, nessuna idea rivela l�elaborazione documentata e riflettuta della sua funzione. Tanto meno un precipitato che contenga la lettura e la comprensione almeno generale di una marea di vicende storiche e sviluppi di Musei del pane che sono diffusi in tutto il mondo; ognuno con il suo approccio e con le sue finalit�, ma tutti pensate, in relazione con la propria identit� culturale. Ognuno di loro provvisto, di ispirazioni diverse, non solo negli animatori, ma nei momenti storici nei quali i musei sono stati concepiti, nei territori nei quali essi si sono cimentati, nelle rappresentazioni e ambizioni diverse a cui si sono affidati. Diciamo speravamo in una proposta che contenesse una pura valutazione critica ed ovviamente una qualche idea differenziata rispetto alla ripetitivit� di numerose raccolte etnografiche (presenti in Sardegna). Che trovasse uno scatto d�orgoglio rispetto alla loro limitata e precipua finalit� conservativa. In cui trasparissero gli sforzi su cui si sono concentrati tanti, speravamo fosse messa alla prova, la documentazione di un maturo e significativo progetto. Dunque definendo la missione del museo, che invece credevamo dovesse cogliere in maniera adeguata una valutazione critica delle altre esperienze operanti. Rappresentazione analitica ma anche critica di quanto in questi anni hanno fatto e stanno facendo: il Museo etnografico di Nuoro, il Museo del Pane cerimoniale di Borore, il Museo del Grano di Ortacesus, il Museo del Mondo contadino di Paulilatino, il Museo Sa Domu de Farra di Quartu S. Elena, il Museo dell�Alimentazione di Siddi ed altri. Esperienze ed esposizioni di tante altre mostre etnografiche permanenti presenti in molte localit� dell�isola. Non una enciclopedia, e certo non per imitarle, ma proprio per assimilarne limiti e bont�, insomma che da esse, si rivelasse l�eco del nuovo precipitato critico, teorico e scientifico della risultanza dei molti pregi e difetti che queste esperienze rivelano. E che la prima rassegna dei musei etnografici di Nuoro Etnu 2007 ha mostrato. Non mi azzardo a tratteggiare altre idee progettuali coltivate da altri musei del pane, ma � un obbligo non ignorare talvolta anche gli esempi lontanissimi da noi. Se vogliamo cogliere tutti gli aspetti organici alla nostra riflessione non solo di questi anni.
Lo strano gemellaggio tra Villaurbana e Follonica Quando abbiamo visto il bando dell�ufficio tecnico comunale (manco fosse il calcolo delle opere murarie di un opera pubblica, ma del Museo del Su Pani fattu in domu), uno strano e misterioso percorso invece ha preso implicitamente a rivelarsi. In cui si discetta di uno �specifico oggetto di concorso� cio� del �confronto di idee e proposte tecniche� e particolarmente di una �proposta ideativa innovativa� atta a promuovere l�allestimento e la valorizzazione del Museo. Immediatamente ci siamo chiesti, pu� pensarsi un allestimento senza un progetto scientifico per i contenuti che il museo deve rappresentare? Possiamo venire a conoscenza su quali intenti si incentri e possa disporsi una esposizione �adeguata agli scopi che l�Amministrazione intende perseguire�? Naturalmente chiedo a tutti, se sia legittimo riflettere, � lecito chiedersi - anche se ci rammarichiamo di doverlo fare ricorrendo agli atti del Comune di Follonica (cittadina in provincia di Grossetto) www.comune.follonica.gr.it e www.lo.archiworld.it/All518-07.pdf �le coincidenze� dei due bandi sono davvero troppo numerose, ma altrettanto scarne per capire come si dovrebbe caratterizzare, (citando quella fonte) questa �proposta ideativa innovativa�? �Ideativa� lascia dunque intendere frutto della fantasia, del genio di quei luoghi, non certo legata alla nostra riflessione locale sul tema de Su Pani fattu in domu, che non riusciamo a concepire annessa a quella esperienza industriale. Innovativa, cosa lascia intendere, la sola definizione dei nuovi linguaggi espositivi, tecnologici o che altro? Il nostro museo potr� ignorare la riproduzione efficace dell�umanit� del nostro mondo tradizionale, potr� ricostruire cornici immaginative capaci? In che misura, e soprattutto sulla base di quali ragionamenti giustificher� l�impiego magari di alta tecnologia, o la presenza di integrazioni artistiche? Sar� capace di definire metodi che gli specialisti chiamano di intermediazione induttiva, cio�, che si rivolgono all�intelletto e al tempo stesso ai sentimenti di visitatori e cittadini ? E doveroso chiedersi a quali scopi intende inchinarsi e soggiacere questa �proposta ideativa innovativa� per il museo del pane fattu in domu, e non dei Metalli o dei Forni del ferro e della Ghisa di quella citt�. Cosa significa, (citiamo dal bando di Follonica) la �testimonianza storica delle origini della citt��� e cosa significa nel bando di Villaurbana (www.architetturaitalia.it/include/bandi%20allegati/995.pdf) invece �testimonianza della tradizione di panificazione�? Di fronte ad un atto amministrativo molto simile (invito chiunque a verificarlo), in cui si viene allestendo un altro e ben diverso museo, in cui si d� corso al Bando di quel comune con il suo Nuovo allestimento museale. Di cui ignoriamo ma immaginiamo il legittimo travaglio; che supponiamo sufficientemente dibattuto e sviluppato sotto gli aspetti del coinvolgimento comunitario di un piano progettuale articolato e complesso, ma assolutamente estraneo alla nostra esperienza. In quella citt� si documenta il traumatico passaggio da cittadina prima mineraria ed industriale, che con il decadimento tipico di molte realt� industriali � ha prodotto la crescente irrinunciabile ridefinizione della propria identit�, con la valorizzazione dell�attivit� metallurgica in chiave culturale. Attenzione leggendo quel bando, si sollecita un confronto aperto soprattutto alle realt� interessate allo sviluppo della sua storia (non di soli architetti), tutti possono vedere e capire con quali modalit�. Quel bando infatti tratta di esperti museografici che si cimentano in ben altri propositi, salvo non vogliamo anche noi allestire un museo delle �materie prime�, estraneo, lontano galassie, dall�esperienza appassionante della nostra comunit�. E� dunque legittimo chiedersi che l�opera fondamentale del programma politico dell�attuale maggioranza dell�amministrazione comunale, provenga dalle troppe citazioni del bando, del comune di FOLLONICA? Sono queste motivazioni che ci obbligano ad intervenire e a riprendere idee ed elaborazioni troppo frammentarie che nel tempo avevamo iniziato a raccogliere, in maniera dispersiva. Ora procedere in questo modo secondo una logica, che ci vede come Villaurbanesi supini imitatori di altre realt�, provviste soprattutto di altri contenuti, esito di altre esperienze; ci disarma e un po� ci atterrisce, per la prostrazione culturale e intellettuale in cui siamo incappati, e che lascia riflettere per gli sviluppi futuri. Tuttavia ci induce ad intervenire, per due profondissime ragioni, LA PRIMA � quella di diradare il velo di ipocrisia e di ambiguit� con cui si costruisce questo strano percorso, LA SECONDA ragione � quella di accrescere l�attenzione e la riflessione della comunit� su decisioni che stanno avvenendo nel silenzio generale. Non credo che anche in una pur piccola comunit� come la nostra, possa vedersi sminuita o peggio rimossa o censurata la pubblica riflessione per la nascita della sua pi� importante istituzione culturale e identitaria. Lo diciamo non solo perch� serve un quadro riflessivo e autorevole sull�identit� panificatoria, in sardo sarebbe de �su connottu�, ma soprattutto del dibattito recente, capace di cogliere quanto riflettono gli oggetti museografici ��transizionali�� essendo in grado di connettere ordini di realt� differenti nel quale calare l�allestimento museale, che non pu� essere prerogativa soltanto degli architetti (o di occasionali consiglieri degli architetti). Ma soprattutto perch� non intendiamo abdicare e tanto meno affidarci alla zattera di una proposta o pi� proposte estranee e temiamo esotiche rispetto all�esperienza villaurbanese. Ci stupisce che non venga richiesta la presenza riteniamo qualificante delle tante professionalit� cresciute in questi anni, che hanno dato lustro alla accentuazione antropologica, sociale ed economica, didattica, commerciale, turistica del qualificatissimo dibattito museografico. La formula scelta, non � certo indifferente rispetto alle altre, perch� crediamo che ignorare quella che in questi anni � stata l�anima del museo del pane, sia un errore che debba essere evitato. Inoltre crediamo, solo aprendo la discussione si pu�, si pu� veramente dire, che le decisioni possano dirsi trasparenti, collettivamente vissute, saggiate e soprattutto condivise,. Lo deve essere ancor di pi�, quando si devono progettare le unit� espositive ed i concetti che esse devono saper raccontare nel museo del Pane. Alla quale sarebbe opportuno ricordare i percorsi di chi (dal bando del comune di Follonica) intende allestire e valorizzare ma soprattutto dare alla struttura �una nuova vitalit� culturale ed aggregativa�.
L�esperienza de su pani fattu in domu. Difficilmente tutto ci� potr� avvenire se la nostra esperienza comunitaria invece � rimossa dalla codifica di questa fantomatica �proposta ideativa innovativa�. Inutile nasconderlo siamo preoccupati, il museo del pane, non � pi� il museo delle panificatrici, non � pi� il museo che guarda al lavoro degli agricoltori e dei mugnai. Come si potr� commuovere il profondo conoscitore delle pratiche etnoiatriche della montagna, come trover� attenzione per is fascittaius, pur originari de �Sa idda de is frucois�, e come potranno i nostri ragazzi o i turisti identificare l�apprendimento della storia comunitaria e didattica se parleremo loro di � metallurgia? Non lasciarci arrendere allo stupore significa preferire e immaginare una discussione quanto pi� aperta, affatto estranea al lavoro comunitario ed alle sue elaborazioni, soprattutto ai messaggi complessi che devono caratterizzare specchiate unit� espositive di allestimento del museo. La ragione che ci induce a intervenire � dunque l�assenza su questo bando delle acquisizione metodologiche e teoriche museali pi� recenti. Ma sono tanti i vuoti ai quali si intende andare incontro, come quelli riguardanti le risorse e le economie di cui potr� vivere, in quale mercato dei musei si cala, la sua apertura sar� definitiva o a singhiozzo etc. etc. Li accomuna, come si vede un interrogativo di fondo di quale integrit� culturale si nutre questo percorso ? La comunicazione dei suoi pregi potr� essere semplicemente condivisa a posteriori, oppure nascere tra le sue mura e tra le sue coscienze, crediamo che il percorso sia capovolto. Dal momento che difficilmente si pu� cogliere nel Bando il peso che deve avere lo sguardo della comunit�, che secondo noi deve assolutamente invece prendere corpo, esserne il fulcro. Si parte con il piede sbagliato, nessuna censura al Responsabile del Servizio, evidentemente non � a lui che si possono attribuire responsabilit�. Crediamo invece che tale risultato si deve alla scarsa chiarezza degli indirizzi politici. Quando non sono chiari gli intendimenti, la pubblica amministrazione soggiace alle logiche tacite della politica, finisce per rivelare un dato contestuale in cui non credo sarebbe caduto. Se un processo di chiarezza tra �indirizzi e gestione� avesse preso corpo nel modo di condurre l�attivit� amministrativa. In cui appiattirsi anche semplicemente utilizzandolo il riferimento al bando del comune di FOLLONICA temiamo rimuova e allontani gli interventi della ricerca sul pane finora svolti. Per legittimare una formula lungi da una sintesi teorica e pratica del lavoro avviato in questi anni (non da noi e basta) ma da tante persone. Manca la riflessione che doveva esser fatta principalmente dalla politica, e che doveva far s� che si traducesse l�esperienza de Su pani fattu in domu negli indirizzi e soprattutto negli atti. Invece ci ritroviamo, una formula mutuata in cui non si qualifica il progetto scientifico che deve accompagnare (step by step) passo passo il museo del Pane. N� tanto meno � presente il quadro generale con cui il provvedimento � inserito in qualsiasi politica nazionale e regionale sui beni culturali. Pi� grave, ribadiamo essa � estranea ai rivolgimenti culturali che stanno avvenendo sulla museografia, sulla etnografia, nell�antropologia e soprattutto nella antropologia Museale. Perch� non si pu� affidare esclusivamente agli architetti ci� che stanno svolgendo le tante e diverse professionalit�, la cui presenza non pu� essere coadiuvante o accessoria, ma centrale. Questo percorso appare lontanissimo dagli esiti raggiunti dalla discussione di questi anni, svoltasi a partire dal rapporto che la Corte dei Conti, allo scopo di poter delineare un quadro esaustivo del contesto museale nazionale ed isolano e dei relativi profili gestionali, indag� e redasse. Il famoso rapporto, prodotto per rappresentare la situazione concreta in cui a seguito di una indagine approfondita venne, stilato in un documento indispensabile, per capire da dove sono discese le nuove e pi� caratterizzate politiche museali. Dal quale emerge ed � definita non solo la nuova centralit� dei musei locali, la loro distribuzione, le fasi di allestimento, la loro titolarit� giuridica, etc. etc. etc. Vi sono raccolti gli itinerari esistenziali, dati dalla verifica di condizioni simili, vissute da tante altre comunit� locali sarde ma anche continentali, uniche figure di esperti, non garantivano, e nel rapporto si insisteva sull�apporto di tante professionalit� e contributi. Per questo supponevamo, non lo nascondiamo, potesse trasparire anche da una corredata istruttoria, e dunque dal bando della amministrazione di Villaurbana. Parliamo di un inizio dal quale tanti fanno provenire le ragioni che in questi anni sono state capaci di far precipitare indicazioni politico culturali assolutamente innovative per questa tipologia di istituzioni culturali. Da allora n� � passata di acqua sotto i ponti. Queste novit� hanno investito tutto il modo di funzionare e di esistere dei musei locali, in particolare quelli etnografici e delle mostre temporanee e dei musei del pane. L�indagine non solo ha inquadrato i problemi e le difficolt�, ma ha permesso adeguate ed operative formule organizzative fino alla definizione ed accertamento del quadro di requisiti minimi indispensabili, per poterli riconoscere. Un intervento da cui poi hanno preso luogo anche le norme di legge della regione Sardegna, riguardanti la materia di beni culturali, gli istituti e i luoghi della cultura, di tutto ci� nel Bando non vi � la minima traccia. Insomma un quadro che nel dibattito a pi� voci ha rappresentato una svolta nel fortissimo movimento di musealizzazione, che ormai si rende pervasivo in tutta Italia, e su cui stanno ricadendo tutte le spinte �personalizzanti� delle nuove identit� locali. La citiamo diffusamente perch� essa ha rappresentato il punto di partenza, che ha legittimato un quadro sufficientemente avvertito circa lo stato delle cose dei musei e della museografia non solo sarda. Vedere il bando dell�ufficio tecnico, che ignora, che non tiene conto di un simile contestuale e corposo dibattito, rende ancor pi� necessaria una attenzione critica adeguata. Che implichi una revisione dei privilegi attribuiti ad una singola professionalit� (l�architetto) e che ignora oltre all�accredito di numerose altre professionalit�, le attribuzioni culturali di cui deve essere provvista questa struttura, tutto ci� ci preoccupa. Ben lontana da qualsiasi polemica di carattere politico e amministrativo, come tutte le scelte unitarie che impegnano la comunit�, avrebbe richiesto toni bassi e moderazione. Un confronto comunitario senza precedenti per un opera come questa, che prima di essere gestita o indirizzata, deve essere vissuta e sentita dalla comunit�. Lungi dai limiti politici e culturali di cui � provvista questa azione amministrativa. Si rivela incapace di sviluppare una pur minima dialettica sulle scelte cruciali che tutta la comunit� deve vivere, secondo un itinerario scandito di occasioni e di presenze diffuse nel tempo. Sul piano locale assolutamente e straordinariamente bisognosa di essere partecipata, da parte di tutte le fasce di et� della comunit�, di tutte le realt� organizzate. Improntato a quel forte coinvolgimento, che in questi anni ha indotto gli studiosi a superare la visione di un museo delle tipologie oggettuali, abbastanza �oltre l�essere farmacisti e geometri della museografia�. Imponendo e prediligendo una idea di museo che racconti invece della umanit� delle persone, della loro vita, della loro poesia. In cui prendono vita oggetti vissuti, oggetti toccati, manipolati, odorati e fatti funzionare. Soprattutto indotti a rappresentare, evocare e far immaginare in maniera straordinaria ci viene da dire unica. Chi li ha adoperati e i contesti nei quali avevano vita. Oggetti usati e riusati, rattoppati, rovinati, mai visti in nessun museo del mondo, magari lontani ma pi� calorosi dei pur organici e freddi standard museografici. Ma che muovessero il corpo, la fisiologia delle persone, dal momento che essi sono �rappresentativi� di altro, cio� di tutte quelle attivit� e processi comuni con cui le genti della nostra comunit� hanno svolto le proprie vite. Dunque oggetti consoni al loro uso alla loro vita . Stupisce l�allestimento del museo del pane, non parta proprio da questo inizio. Invece ci troviamo di fronte ad un concorso di idee che non si s�, cosa possano gli esperti, se non viene considerato. Soprattutto non ha ufficialit� per il suo allestimento l�esperienza di indagine del pane villaurbanese, e i contributi migliori prodotti dalla revisione del vecchio modello museografico, affatto leggibile dal taglio prescelto per privilegiare un'unica variabile professionale. A meno che non si dia per scontato, o si ignori e si sia incapaci di rendere visibili i concetti e i significati antropologici, sociali, comunitari che in questi anni si sono fatti avanti, a Villaurbana e non altrove. Sebastiano Chighini
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